Nato il primo ottobre 1924, Jimmy Carter aveva detto che avrebbe voluto oltrepassare i 100 anni apposta per poter votare Kamala Harris. Ce l’ha fatta, anche se lei poi non ha vinto. In compenso, è morto in tempo per non avere di nuovo Trump alla Casa Bianca, anche se lo stesso Trump ha avuto parole di elogio per il presidente che dopo aver suscitato speranze non riuscì a farsi confermare, ma poi ebbe il Nobel per la Pace ed ha appunto battuto ogni record di longevità tra chi alla Casa Bianca è arrivato. Bizzarro scherzo del destino o forse ammonimento della Provvidenza, questa esistenza lunghissima ha avuto anche l’effetto di far coincidere la sua dipartita col caso di Cecilia Sala. Appunto, l’ultimissimo esempio di quella politica degli ostaggi che è nata con la stessa Repubblica Islamica, e di cui Carter fu appunto la prima grande vittima.
Eletto dopo il Vietnam e lo scandalo Watergate, Carter aveva infatti promesso di ripulire le compromissioni con dittature che avevano segnato la Guerra Fredda, e proprio per non essere più appoggiato da lui lo Scià aveva dovuto lasciare il potere davanti a una rivoluzione che dunque in teoria a Carter avrebbe dovuto essere grata.
Invece il 4 novembre 1979 un gruppo di studenti “rivoluzionari”, variamente stimati tra i 300 e i 2000, occupò l’ambasciata degli Stati Uniti a Teheran, prendendo in ostaggio 52 diplomatici. Ma già il primo novembre era stato appunto Khomeini a chiamare la popolazione a manifestare contro il “Grande Satana”. E le televisioni mostrarono gli ostaggi con gli occhi bendati.
La prima richiesta era di riavere lo Scià, che esule in Egitto si era recato a New York pe curarsi il cancro. Ma Reza Pahlevi andò allora a Panama e lì morì, e il sequestro continuò. Sei ostaggi, in realtà, riuscirono a fuggire e a trovare rifugio all'interno dell’appartamento dell’ambasciatore canadese; successivamente, grazie alla collaborazione del medesimo ambasciatore che fornì loro documenti falsi, poterono lasciare il Paese il 28 gennaio 1980. Altri tredici ostaggi, donne e afroamericani, furono liberati tra il 19 e il 20 novembre 1979 e un ulteriore ostaggio, malato di sclerosi multipla, l’11 luglio 1980. Il 24 aprile 1980 Carter inviò una forza speciale per liberare li ostaggi con la forza, ma in una tempesta di sabbia due degli otto elicotteri si scontrarono tra di loro, altri tre e un aereo andarono fuori uso, otto militari morirono, altri quattro furono feriti, e la missione fallì. Alla fine, dopo che anche per quella storia Carter aveva perso le elezioni, l’Algeria mediò un accordo che fu firmato il 19 gennaio 1981 e portò alla liberazione degli ostaggi il giorno dopo. Ultimo schiaffo, in modo che a riceverli non fosse Carter ma Reagan. In cambio l’Iran ottenne lo scongelamento dei fondi iraniani depositati presso banche americane bloccati all’indomani dello scoppio della crisi.
Fu l’inizio di un sistema che da allora ha fatto proseliti. In contemporanea al caso Cecilia Sala c’è ad esempio ora quello di Nahuel Agustín Gallo: un gendarme argentino detenuto arbitrariamente dal regime venezuelano e processato per terrorismo, come sono detenuti altri cittadini stranieri. Ma anche la Russia ha detenuto cittadini stranieri con false accuse di spionaggio, come nel caso Brittney Griner, e ha utilizzato questi ostaggi in scambi. E anche la Corea del Nord detiene sistematicamente turisti e stranieri per ricattare altri governi. Avendo fatto scuola, l’Iran continua. Tanto per ricordarci che no, non è un Paese come gli altri.