la località turistica è ancora la meta preferita dai Vip di casa nostra
Si può ancora sperare di ristrutturare casa con il contributo pubblico ma stanno per finire i giorni del «rifatevi casa gratis» lanciato entusiasticamente da Giuseppe Conte. Poi mentre all’Enea che accumulava e selezionava le richieste di bonus (cappotto termico, caldaie, sconto in fattura e tutte le diverse declinazioni), si è cominciato a far di conto sull’impatto. E così qualche anno è saltato fuori (grazie al lavoro di Corte dei Conti, Ufficio parlamentare di bilancio e dei centri studi di Bruxelles) che la grande idea grillina aveva provocato una voragine nei conti pubblici. Anzi di più: l’Unione europea a seguire ha aperto anche una (ennesima) procedura d’infrazione. Tra le uniche cose certe è che appena il 4% del patrimonio immobiliare privato italiano ha potuto avere un qualche beneficio. E a parte l’onere dei 6 castelli ristrutturati grazie alla generosità dei contribuenti italiani l’operazione 110% ha lasciato uno strascico di polemiche (una ventina di riforme legislative e contenitive), e qualche decina di miliardi di buco.
Nessun controllo preventivo. Ex post si è scoperto (inviando la Guardia di Finanza a controllare strada per strada), che alcuni palazzi neppure esistevano. Solo società cartiere che accumulavano bonus fittizi, le giravano al fisco per evitare di pagare le tasse e si eclissavano. Con tanti saluti a Giuseppi e allegra combriccola a 5 stelle. Prima il governo Draghi, poi quelli di Giorgia Meloni hanno fatto i salti mortali per “tamponare” la voragine. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ammetteva candidamente di non «dormirci la notte...». Come dargli torto con l’eredità dei bonus promessi a pioggia, la caccia a furbacchioni che avevano intercetttato l’occasione d’oro di arricchirsi solo spostando carta su carta senza neppure piantare un chiodo. Tutto questo senza considerare l’indubbio effetto leva che l’edilizia ha sulla crescita economica. Il doping fiscale del mattone ora rischiava di trasformarsi in un clamoroso autogol. E quindi serviva un “decalage” progressivo degli incentivi per non far scomparire dall’oggi al domani decine di migliaia di posti di lavoro, migliaia di imprese (alcune improvvisate è dire poco).
E miliardi di euro di potenziali investimenti pubblici e privati lasciando il mercato immobiliare imbambolato in una cristallizzazione che rischiava di esplodere. Il problema, dal 1 gennaio 2025 è riuscire ad orientarsi nel labirinto della progressiva riduzione degli incentivi. Da quest’anno (a cavallo tra i due regimi di incentivo) sulle detrazioni fiscali verrà applicato il principio di cassa, vale a dire il criterio utilizzato per determinare il momento in cui si verifica l’effettivo pagamento (tracciabile). E proprio secondo questo principio la detrazione delle spese sostenute (fino al 50% di un massimale di 48mila euro) può essere fatta valere nell’anno in cui la spesa è stata effettivamente sostenuta, ossia indipendentemente dal periodo a cui la stessa spesa si riferisce. Attenzione però: non vi aspettate un rimborso unico: i 48mila euro di rimborso fiscale arriveranno in 10 rate annuali. Altra accortezza: chi - entro fine dell’anno 2025 anno pagherà anticipatamente parte delle fatture da saldare - potrà sfruttare la detrazione fiscale al 50% (prima casa) e non al 36% (seconda casa), in riferimento alle spese per i lavori effettuati e compiuti il prossimo anno.
Il criterio “di cassa e di competenza” servirà un po’ a contenere l’effetto negativo che il taglio degli incentivi potrebbe far scattare nel settore delle ristrutturazioni edilizie. Gli italiani adorano investire nel mattone. Secondo gli ultimi dati Censis il 70,8% delle famiglie italiane è proprietario della casa in cui vive. Logico quindi non andare a penalizzare un settore che è storicamente trainante (dati Ance, Cresme, Istat), per qualsiasi economia. In particolare per quella italiana. Il settore delle costruzioni incide sul Pil per circa l’8% circa. Considerando anche la parte dei servizi (attività immobiliari), l’incidenza sale al 18% (21% in Europa). Un settore che vale complessivamente 130 miliardi di euro. Ovviamente- vista la predilezione per le scelte di risparmio in abitazioni- gli italiani hanno dirottato mediamente circa 65 miliardi di euro dall’edilizia residenziale privata (17,5 miliardi per l’acquisto di nuove abitazioni e oltre 47 miliardi per ristrutturazioni edilizie). Altri 65 miliardi sono rappresentati dall’edilizia non residenziale, sia privata (42 miliardi) che pubblica (23 miliardi).
Come dimostra il pasticcio del cosiddetto “salva Milano” sotto l’amministrazione di Beppe Sala il blocco giudiziario (su 14 progetti cantierati e 150 opere cantierabili a breve) rischia di provocare una voragine nelle casse comunali milanesi. È stato calcolato che il congelamento dei progetti milanesi ha fatto venire meno introiti da oneri di urbanizzazione per 130 milioni di euro, con una perdita secca rispetto all’anno scorso del 70%. Già prima dell’estate, secondo i calcoli dell’Aspesi, gli investimenti immobiliari fermi ammontavano a 5 miliardi. Senza dimenticare che la riformulazione della norma (del 1942) oggi bloccata al Senato in un tira e molla trasversale tra maggioranza e opposizione, ha fatto emergere la contestazione di presunti mancati incassi per ben 15 milioni in soli 5 proprio per i 14 cantieri sotto inchiesta. Proiettando su scala nazionale l’impiccio milanese ne salta fuori cratere economico per le amministrazioni locali già traballanti.