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Daniele Capezzone: per i violenti ogni pretesto è buono. Attenzione: c'è chi cerca il morto

di Daniele Capezzone sabato 14 dicembre 2024

3' di lettura

Il conflitto politico, le tensioni sociali, la battaglia delle idee sono tre entità sottoposte a una grammatica, a delle regole, o per lo meno – chiamiamole così – a delle regolarità. Può accadere – ed è lo scenario più desiderabile – che chi promuove una campagna, anche fortemente polemica, lo faccia ponendosi un obiettivo chiaro -determinato -raggiungibile, cercando di estendere il consenso intorno al suo possibile ottenimento, e soprattutto precostituendo sia lo scenario della vittoria (il risultato viene ottenuto) sia quello della sconfitta (il risultato non viene ottenuto, ma il movimento esce rafforzato dalla battaglia intrapresa).

Può invece accadere – ed è lo scenario più cupo – che un oggetto comprensibile della campagna non esista, e che consista solo in un umore, anzi in un malumore, in un desiderio di contrapposizione a qualcuno o a qualcosa. In questo caso, non esistono tappe possibili di un percorso (una legge da far approvare o da fermare, un risultato normativo o contrattuale da conseguire), né è immaginabile un lavoro culturale di sostegno (libri, campagne giornalistiche, correnti di pensiero da alimentare). Esiste solo lo scontro, il contrasto fisico, l’urlo, il muro contro muro, l’invettiva rabbiosa.

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In Italia si sta realizzando questo secondo schema. L’opposizione politica non ha né una sua definizione come coalizione né tantomeno una base programmatica. Il sindacato, nelle sue componenti Cgil-Uil, ne approfitta per imporre una linea di scontro frontale con il governo, ma a sua volta senza un pacchetto di rivendicazioni comprensibili. Il capo e portavoce di questa deriva, inadeguato ma pericoloso, cioè Maurizio Landini, straparla da due mesi di «rivolta sociale», non sapendo bene ciò che dice, ma urlandolo tre-quattro volte a settimana in tv.

Con questo innesco, l’incendio è stato ormai appiccato, e ogni occasione, ogni pretesto, ogni piazzata sono utili a far casino. Pro-Pal, studenti che urlano, scioperi senza senso («contro la turistificazione e la guerra»): nel minestrone può finire di tutto. E in questo magma senza idee e soprattutto senza sbocco politico, senza incanalamento razionale di una istanza di opposizione, ecco arrivare puntuali gli scontri con la polizia, i bastoni, gli orridi segni della P38.

Peggio: c’è – ottusa ma ripetuta all’infinito, e quindi statisticamente destinata a produrre un risultato – la ripetizione ossessiva dello schema della contrapposizione fisica e di piazza. Senza neanche rendersene conto, chi agisce così cerca il morto. E, sempre senza rendersene conto, è tragicamente probabile che lo troverà, perché un incidente è per definizione dietro l’angolo.

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In questa miserabile e irrazionale corsa al “tanto peggio tanto meglio”, si tratterebbe di un corpo da scagliare contro il nemico, di un ennesimo oggetto contundente da scaraventare contro i “fascisti al governo”. Voglio sperare che il mio sia un esercizio eccessivo di pessimismo. Temo invece che si tratti di una banale operazione volta – enigmisticamente parlando – a unire i puntini. Già non mancano sociologi e intellettuali progressisti, che già fecero danni da giovani, e che oggi pontificano dicendo che “dobbiamo ascoltare” il disagio e le proteste. E infatti abbiamo ascoltato: ma quello che abbiamo sentito – oltre che visto, ad esempio ieri a Torino –è molto brutto e assai pericoloso. Prepariamoci al peggio. 

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