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Senaldi: Il Pd non ha ancora capito che Conte gioca per sè

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Pietro Senaldi
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Il sonno della ragione partorisce accordi politici mostruosi e la cupidigia di potere annebbiai sensi. Lo confermano le reazioni avute dal Pd all’intervista rilasciata da Giuseppe Conte alla vigilia del referendum con cui la base di M5S scaricherà definitivamente Beppe Grillo. L’avvocato del popolo chiarisce che, se si votasse domani, il Movimento andrebbe da solo alle urne, perché è «progressista ma non di sinistra». Niente campo largo e niente alleanza con Elly Schlein. La dichiarazione è forte. Risponde all’esigenza tattica di scaldare chi voterà, tra domani e domenica. Poiché Grillo resta, nell’immaginario collettivo pentastellato, il nemico dei dem - il comico li chiamava «pidioti»-, Conte, ora in oggettiva difficoltà, ha necessità di marcare le distanze da Schlein e compagni, così da riempire il vuoto che si appresta a creare e da non far rimpiangere il fondatore.

Ma non è solo questo. Il leader sa che sta lottando perla sopravvivenza del Movimento e cerca uno spazio politico là dove c’è. Ammainate le bandiere dell’anti-casta e del reddito di cittadinanza e sorpassato dal Pd nel giustizialismo più feroce e da Avs nell’ambientalismo più becero, l’ex premier ha individuato nel pacifismo spinto, nell’antieuropeismo di maniera e nella lotta al buonismo autolesionista della sinistra salottiera i nuovi capisaldi del Movimento. Perciò dichiara che non può stare con i dem che «votano con la Meloni sia su Ursula Von der Leyen in Europa sia sulle armi all’Ucraina».

I CALCOLI DI GIUSEPPE Sono posizioni politiche logiche e scontate, ma hanno mandato la sinistra in tilt. I riformisti del Pd accusano Conte di essere un populista, Fratoianni e Bonelli sostengono che sia contraddittorio definirsi progressista ma non allearsi con loro, gli ex radicali di + Europa accusano il leader grillino di ambiguità, Schlein e i suoi fedeli tacciono imbarazzati. Solo Renzi e Calenda ridono sotto i baffi, perché su M5S e il suo leader non si sono mai fatti illusioni. In effetti Conte, a differenza di Grillo, ha sempre mantenuto una certa coerenza, sia come metodo di governo sia come scelta dei compagni di strada, e forse proprio per questo ha sconfitto il fondatore. Una coerenza ribadita nell’intervista che ha scandalizzato il Pd. Sono gli altri, dal comico fondatore ai comici dem, a non voler capire. L’ex premier sa che un’alleanza organica con il Pd, che vedrebbe M5S in posizione subalterna, significherebbe la morte del partito. Lui è disposto a firmare con le altre forze progressiste un contratto di governo, su punti qualificanti, come fece con la Lega. Se l’accordo sui temi si raggiunge prima del voto, si fa l’alleanza elettorale, altrimenti, ciascun per sé e si vede dopo. L’errore del Pd, fin dai tempi di PierLuigi Bersani segretario, è stato quello di dare per necessaria l’alleanza con M5S, nella speranza di fagocitarlo, ma è un progetto che non si è mai realizzato. Quando il Pd era più forte, i grillini hanno sempre rifiutato l’abbraccio e così hanno fatto i dem nel 2018, quando il Movimento li ha sorpassati. L’unico tratto di strada che Conte ha fatto con i dem è stato quando, grazie all’opera luciferina di Matteo Renzi, Nicola Zingaretti gli ha salvato, suo malgrado, la poltrona a Palazzo Chigi. Si suppone però che, pur di mantenerla, l’avvocato sarebbe venuto a patti anche con il Diavolo. Quando poi arrivò Draghi, Conte era fuori dal Parlamento. Il governatore fu sostenuto, con la benedizione di Grillo, da un M5S guidato da Luigi Di Maio e l’inevitabile conseguenza fu la diaspora di M5S e la fine dell’avventura poltica dei grillini draghiani.

L’ABBAGLIO DI ELLY In altre parole, l’asse con i grillini è una chimera che esiste solo nella testa di Schlein e compagni. Animati come al solito da logiche di potere, i dem pensano in termini di alleanze numeriche prima che di intese sui contenuti politici. Conte ha ragione da vendere a richiamarli sui temi, perché è su di essi che si decide se i governi tengono o saltano. Il fatto che il Pd si faccia fare la morale da un leader a cui vengono spesso rimproverati volubilità, opportunismo, spregiudicatezza, la dice lunga sullo spessore politico della segretaria Schlein. Un partito che aspira a guidare una coalizione che viene da una storia di fragilità e insuccessi dovrebbe dettare l’agenda e cercare l’accordo con i potenziali alleati sui temi che uniscono. La sinistra non supera lo stallo messicano di trovarsi a discutere solo di ciò che la divide. Finché lo fa Conte, che ha bisogno di distinguersi per sopravvivere, si può capire. Se lo fa il Pd, è un drammatico segnale di mancanza di leadership.

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