Fiorella Mannoia
Lei canta storie. In sintesi, cantastorie. Lei è Fiorella Mannoia, ormai iscritta all’albo d’oro degli aspiranti alla leadership del centro sinistra. Il suo nuovo album può essere utile a qualche università italiana, pare la parola d’ordine della rivolta filopalestinese o anche per quella sociale di Maurizi Landini. Lo ha intitolato Disobbedire e non è neppure così originale. Di questi tempi, con i magistrati che ci sono, diventa una medaglia da conquistare ad ogni costo.
Eppure, la Mannoia parte da una considerazione che sembrerebbe ragionevole. Lo hanno testimoniato le elezioni americane, ammette, lo schieramento del vippaio canoroe non solo - a sostegno di Kamala Harris non ha fatto altro che accrescere i consensi a favore di Donald Trump. Dai cantanti, direbbe Catalano, ci aspettiamo canzoni più che militanza politica. Lei invece, la Mannoia, gira la frittata. Impegno politico, ma non per Tizio o Caio, bensì con le parole d’ordine. Dunque, disobbedire. Risvegliare l’identità cancellando ogni tentazione neo centrista, manda a dire alla sinistra. Ma resta perfettamente allineata a quella politica, esattamente come i suoi colleghi.
Partendo proprio dalla considerazione sugli States: «La gente non sceglie i candidati perché un cantante li appoggia. In un momento di crisi e disagio come questo non è che i cittadini si fidano di una che fa il mio mestiere solo perché si affaccia a un comizio». Lo ha capito, e questo basterebbe per dire bene brava bis. Ma c’è un però. La Mannoia prende fiato, fa un passo avanti e dice che «Un mese fa ho organizzato il concerto al Forum di Assago per raccogliere fondi per Medici Senza Frontiere, Emergency, la catastrofe umanitaria di Gaza. Questo è il nostro impegno politico». Decide lei che fare. E aggiunge in maniera forsennata: mentre «questa sinistra barcolla, ecco perché i fascisti avanzano. Dobbiamo fare una riflessione seria, abbiamo perso l’identità avvicinandoci a questo cavolo di centro». E dice di odiare la parola “moderati”: «Riprendiamoci i nostri valori, combattiamo per ciò in cui abbiamo creduto. Di guerra non parla nessuno, mi aspetterei che qualcuno prendesse posizione». Se questa è la nuova sinistra c’è da dire lasciateli cantare... Sul piano musicale, Fiorella Mannoia compone il suo album di nove canzoni per cantare al mondo una filosofia di vita fatta di prese di posizione che non temono critiche (anche per il conformismo dilagante). Il disco celebra i 70 anni di una donna comunque importante per la musica italiana, capace di mettere insieme speranza e denuncia, anche grazie all’impegno nella fondazione “Una nessuna centomila” a sostegno dei diritti delle donne.
Basterebbe il brano La storia non si deve ripetere con la strofa «scegliere il futuro diverso da questo presente è compito di tutti» per capirlo. Soprattutto per capire dove intende andare a parare. La corte europea ha condannato Netanyahu, le chiedono in un’intervista. E lei liquida così: «Qualcosa bisognava pur fare. Attenzione, il 7 ottobre e l’attacco a Israele da parte di Hamas sono stati una cosa terribile, ma la reazione verso un popolo inerme è inaccettabile». A proposito del titolo del suo album la domanda è a che cosa disobbedisce più spesso e quando è stata l’ultima volta che ha disobbedito? «Ho disobbedito tante volte. Sono sposata con un uomo molto più giovane di me ed è una disobbedienza che mi fanno notare quasi tutti i giorni ma non mi importa, non me ne frega niente. Sono in disaccordo con quello che dice l’Unione europea e se dico quello che penso su Gaza, come ho fatto con lei, mi tacceranno di antisemitismo. Ma io continuo a dire la mia, non ho paura divenire criticata».
Come se essere accusabile per antisemitismo possa rappresentare una cosa da niente. Certi artisti sono fatti così. Vogliono passare per essere controcorrente e in realtà restano i più anticonformisti di tutti. Perché è indubbio che ci voglia coraggio per negare valore all’ordine di arresto del premier israeliano: molto più facile dire “sì, hanno ragione” e neanche donna Fiorella si sottrae. E quindi siamo noi, semmai, a chiederle a chi disobbedisce... Il suo album, se questo sono le premesse, assomiglia invece ad una forma di obbedienza cieca e assoluta all’opinione dominante. Non è questa la strada per invocare la pace, che è difficile conquistare con gli ordini di cattura internazionale. Ma si sa, pur di restare al centro dell’attenzione e collezionare più applausi che fischi, è meglio gridare le frasi più comode. E il 7 ottobre diventa solo un paravento di cui parlare rapidamente per passare subito oltre.