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Di Meo: a Napoli si diventa criminali a 12 anni. Ma nessuno interviene

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Simone Di Meo
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Si chiamava Arcangelo Correra e aveva compiuto 18 anni il 25 ottobre scorso. Ieri, all’alba, in via Tribunali, a Napoli, è stato ucciso da un proiettile alla testa esploso (pare) per un tragico gioco. Un amico ha scarrellato la pistola ed è partito un colpo. «Ci stavamo divertendo, nessuno voleva fargli del male», avrebbe riferito un giovanissimo testimone agli investigatori. Perché da queste parti si scherza così: col fuoco. Arcangelo era incensurato, figlio di due commercianti, ma cugino di Luigi Caiafa, morto prima ancora di raggiungere la maggiore età. Nell’ottobre 2020, Caiafa fu ammazzato da un poliziotto (indagato e archiviato per legittima difesa) che si era visto puntare contro una rivoltella giocattolo a conclusione di un tentativo di rapina con il figlio di un malacarne poi diventato pentito.

Prima di Correra c’è stato Santo Romano (19 anni), freddato da un minorenne che aveva voluto vendicare col sangue e il piombo l’oltraggio di un pestone che gli aveva sporcato le scarpe da 500 euro appena comprate. Santo era un giovane calciatore, un ragazzo perbene: è stato giustiziato con una pallottola in petto solo perché aveva tentato di evitare una rissa. E ancor prima ci sono stati Emanuele Tufano (15 anni) e Gennaro Ramondino (20 anni): il primo è stato trucidato durante un conflitto a fuoco nella centralissima piazza Mercato con altri coetanei. Il secondo è stato eliminato a tradimento dal suo migliore amico (16 anni) in cambio dei galloni di baby boss. Napoli è diventata come Kinshasa, la capitale del Congo. Solo che al posto dei Shegués, i bambini armati che assaltano i passanti in strada o gli automobilisti incolonnati nel traffico, ci sono i discepoli di Genny Savastano e Ciro Di Marzio, i protagonisti della fiction Gomorra di Roberto Saviano, o di Mare Fuori. Sono questi i modelli dei criminali in erba che ascoltano Geolier e si esaltano, dopo una pippata di cocaina, su rime che evocano esecuzioni da Stato islamico («Trappo comm ’a Genny, mentr accir ’a nu cristian») o che rinsaldano rapporti di amicizia mai rinnegata («Teng nu frat criminal e n’atfigl e nu boss/Je so intoccabile a Secondiglian comm ’e Narcos»). Chi dovrebbe intervenire, sembra imbambolato. Tant’è che il sindaco Gaetano Manfredi, che è stato rettore universitario e addirittura ministro, ha consegnato una medaglia a Geolier dopo il deludente secondo posto a Sanremo, suscitando l’ira del procuratore Nicola Gratteri. Chissà se il primo cittadino ha mai ascoltato una strofa del cantante additato come un esempio per i giovani campani. La sinistra a Napoli ha ampiamente superato il confine tra dramma e farsa: ieri, a poche ore dalla tragica scomparsa di Arcangelo, l’immancabile associazione antimafia Libera e l’arcidiocesi di Napoli hanno organizzato una manifestazione contro la violenza. Tra gli ospiti quasi l’intera squadra di assessori comunali che ripetono il ritornello: «La cultura salverà questi giovani sbandati, bisogna porgere l’altra guancia». Come se loro si trovassero lì per caso, e non avessero la responsabilità del controllo del territorio e delle politiche sociali. A Napoli si diventa criminali a 12 anni, ed è una scelta consapevole. Ci sono ragazzi che provano piacere nell’infliggere dolore agli altri, solo che nessuno ha il coraggio di denunciarlo. E così il silenzio uccide due volte. E poi un’altra cosa: non tutti i baby boss possono essere rieducati o vogliono essere salvati. Il politicamente corretto applicato alla sicurezza provoca disastri: bisogna abbassare l’età imputabile e prendere coscienza che serve uno sforzo giudiziario e investigativo gigantesco per bonificare la palude di degrado e subcultura in cui sguazzano questi piranha dai denti affilati.

Cominciando dai genitori, che non sono mai innocenti del tutto. «Chi commette reati spesso è figlio di pregiudicati o di persone che hanno comunque avuto problemi con la giustizia. Napoli è diventata una città ostile per i bambini e per gli adulti», hanno giustamente sottolineato il presidente del coordinamento cittadino di Fdi Marco Nonno, il vicario Luigi Rispoli e il consigliere comunale Giorgio Longobardi. Un’altra verità scomoda è che la camorra è stata sconfitta negli ultimi quindici anni da inchieste, manette e condanne, e quest’ondata di criminalità minorile ne è la diretta e trascurata conseguenza. Solo che i clan servono ancora in vita, e a lungo. Altrimenti non si vendono i libri delle star antimafia e non si fa carriera con le indagini e le interviste. Mors tua, vita mea.

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