Nel giorno dell’uscita del loro libro L’altra verità – Giovanni Falcone, Vito Ciancimino e la lotta alla “vera mafia” che non si è ancora completamente combattuta (edizioni Piemme), Libero ha intervistato in esclusiva il generale Mario Mori e il colonnello Giuseppe De Donno. Quel che emerge dal volume, e che compare a chiare lettere già in questa conversazione, è materiale rovente. In un altro paese, scatenerebbe discussioni al calor bianco. Qui c’è piuttosto da temere un’imbarazzata coltre di silenzio. Un pezzo di storia è già noto: il lungo (e infine vano) tentativo di criminalizzare Mori e De Donno, di isolarli, di costruire il grande racconto mediatico e giudiziario della “trattativa”, di usare quella potente e fumosa narrazione per nascondere troppe altre cose.
Che ora però emergono prepotentemente, a partire da un dattiloscritto (pubblicato nel volume) in cui Vito Ciancimino, politico compromesso con i poteri criminali ma depositario di conoscenze che dovevano per lo meno essere esaminate, arriva a delineare ipotesi in qualche misura convergenti con quelle che – per vie completamente diverse – erano state elaborate da Giovanni Falcone: l’esistenza di qualcos’altro rispetto alla mafia criminale propriamente detta.
Perché non si volle dar seguito alle informazioni offerte da Ciancimino? Chi aveva interesse a non svelare la compromissione dell’intero sistema dei partiti (incluso il Pci di allora), e quindi non solo della Dc, con i poteri criminali e la spartizione illegale degli appalti? Ed è esistita (altro che la “trattativa” addebitata a Mori e De Donno) un’interlocuzione opaca e non chiarita tra istituzioni e criminalità organizzata? Chi la condusse? La stessa sequenza dei delitti eccellenti va forse rivisitata e riesaminata in un quadro che va ben oltre Palermo e la mafia propriamente detta.
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Si riparte da dove si fermava il vostro libro di un anno fa: la centralità del dossier mafia -appalti capire per l’omicidio di Falcone, quello di Borsellino, ma pure quello – precedente, siamo nel marzo ’92 – di Salvo Lima.
G.D.D.: «L’assassinio di Lima è un punto fondamentale. Lo stesso dottor Falcone colse l’eccezionalità dell’evento e commentò a caldo: “È un fatto che fa saltare gli equilibri”. E aggiunse che da quel momento ci si poteva aspettare di tutto. Non so se stesse pensando già a se stesso e a ciò che gli sarebbe accaduto...».
La vostra osservazione di partenza è choccante: per un verso la celebre frase di Falcone sulle «menti raffinatissime» alla base del primo fallito attentato contro di lui, per altro verso il vostro dossier su mafia e appalti, e infine le stesse rivelazioni di Vito Ciancimino sono tre modi – ovviamente diversissimi – di arrivare al medesimo snodo, e cioè al fatto che la “vera mafia” non fosse solo e tanto quella criminale, quella che nel 1992 scelse la via terroristica...
M.M.: «Non nella fase iniziale del nostro lavoro, ma progressivamente nel tempo, ci siamo resi conto che c’era contro di noi e contro il nostro lavoro investigativo un blocco di potere, un sistema, un insieme di rapporti - non solo a livello siciliano ma sul piano nazionale – che non voleva che noi andassimo avanti». G.D.D.: «Non a caso abbiamo rievocato l’espressione “menti raffinatissime” usata da Falcone dopo il primo fallito attentato ai suoi danni all’Addaura. Il documento di Vito Ciancimino che noi pubblichiamo dice, a modo suo, cose analoghe: e cioè chiama in causa qualcosa che va al di là di Cosa Nostra».
Ciancimino – scrivete – era un uomo profondamente compromesso con la mafia, e la sua stessa volontà di collaborazione era venata anche da calcoli personali. E però a pentiti o dichiaranti assai meno rilevanti di lui dedicò attenzione e tempo. Qui invece parve esserci una fretta sospetta di chiudere una pagina...
M.M. : «Non vedo che valutazione etica ci sia nell’ascoltare criminali responsabili di delitti atroci ma poi rifiutarsi di dar retta – salvo ovviamente vagliare le sue dichiarazioni – a un politico che certamente era collegato con la mafia, ma che avrebbe potuto illuminare il rapporto tra criminalità, politica e affari. Sarebbe stato prezioso esaminare le sue informazioni. E invece...».
G.D.D.: «Noi non abbiamo mai sostenuto che Ciancimino dicesse solo la verità e tutta la verità. E in ogni caso per qualunque dichiarante tutto va sempre esaminato e vagliato. Ma qui, curiosamente, qualcuno decise a priori che Ciancimino non era attendibile. E la procura di Palermo si intestardì nel pretendere che, prima di ogni altra cosa, lui si dichiarasse uomo d’onore. Mentre Ciancimino, che pure non negava i suoi profondi rapporti con la mafia, si riteneva altro da Cosa Nostra».
L’allora Presidente della Commissione parlamentare Antimafia Luciano Violante non volle sentirlo in audizione.
M.M.: «La Commissione non volle sentire il politico Ciancimino, ma ascoltò il mafioso Buscetta. Almeno lo stesso trattamento andava fatto...».
G.D.D.: «Resto convinto – è una mia valutazione – che non sia stato ascoltato perché avrebbe parlato non solo del suo partito, della Dc, ma dell’intero sistema dei partiti».
E la Procura di Palermo retta da Giancarlo Caselli sembrò a sua volta preferire altre piste.
M.M.: «Temo che qualcuno avvertisse come un pericolo che Ciancimino confermasse il quadro offerto da Rino Nicolosi, due volte presidente della Regione, che a sua volta aveva parlato dell’intero sistema dei partiti. Anzi lui parlava di “sistemi”, cioè di una serie di sistemi e intrecci di natura politica, imprenditoriale, criminale».
G.D.D.: «Ciancimino avrebbe parlato non solo della Dc, ma anche degli altri partiti e pure del Pci dell’epoca. Avrebbe aperto – mettiamola così – uno scenario forse troppo complesso per quel momento. O per qualcuno. Non solo...».
Non solo?
G.D.D.: «Ciancimino sosteneva che anche molti dei delitti eccellenti (da La Torre a Dalla Chiesa, fino allo stesso Falcone) fossero stati decisi a Roma più che a Palermo. Una teoria che doveva per lo meno essere vagliata e verificata».
Voi offrite al lettore due spiegazioni su questa ritrosia della Procura. La prima, più benevola, legata a una legittima valutazione dei magistrati sul fatto che Ciancimino volesse più inquinare che collaborare. La seconda, più maliziosa, è che Ciancimino potesse fare rivelazioni sul Pci o comunque sul consociativismo dell’intero sistema dei partiti, incluse sinistra e cooperative.
M.M.: «Il punto è questo. Sia il dattiloscritto di Ciancimino, sia le rivelazioni di Rino Nicolosi, sia il documento anonimo (quello cosiddetto del “Corvo 2”) erano convergenti nell’aprire diverse piste che dovevano per lo meno essere esaminate, vagliate, approfondite. Non lo si è fatto».
Per paradosso, Ciancimino non viene preso in considerazione nemmeno quando offre informazioni teoricamente preziose sul presunto incontro tra Andreotti e Riina.
G.D.D.: «Questo è un aspetto rilevantissimo. Per molto tempo Ciancimino non era affatto convinto di quell’incontro: spiegava che un uomo come Salvo Lima non avrebbe mai commesso l’errore di realizzare una simile “mediazione”. Poi però, una volta in carcere, Ciancimino si convinse che le cose potessero essere andate diversamente perché, nell’anno del presunto incontro – pensò in seconda battuta – qualcosa poteva aver convinto Lima a organizzare la cosa. Allora Ciancimino chiese ai magistrati semplicemente un miglioramento delle sue condizioni carcerarie (soffriva il freddo particolarmente), proponendo di offrire elementi che naturalmente dovevano essere vagliati e verificati. Ma pure quella disponibilità fu fatta cadere...».
Ma questo è clamoroso. Prima nel libro avevate scritto che la Procura era tutta concentrata sulla caccia ad Andreotti e che poteva temere che Ciancimino offrisse piste distraenti. E invece la Procura chiuse la porta perfino quando Ciancimino offriva elementi buoni per la pista investigativa principale di Caselli? Come si spiega?
M.M.: «È incredibile, non trovo una ragione né una giustificazione. Avrebbero potuto trovare elementi – o magari addirittura la prova – su quello che cercavano. E invece...».
Nel ricostruire i vostri colloqui confidenziali con Ciancimino (che vi valsero due decenni di aggressioni), voi spiegate che a più riprese gli avevate posto come condizione la necessità della cattura di Riina e dei capi di Cosa Nostra. Dapprima lui reagì male, temendo per sé stesso; poi sembrò di nuovo disponibile. Eppure non si fece tesoro di quella novità. E la cattura di Riina, grazie a voi dei Ros, avvenne per altra via.
G.D.D.: «È così. E aggiungo che ci si accusò di una “trattativa” segreta quando invece parlammo del nostro lavoro investigativo- e dei relativi colloqui confidenziali - con Fernanda Contri (sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio) e con Liliana Ferraro (che aveva preso il posto di Falcone). Certo non ne parlammo con la Procura quando era retta da Giammanco. Ma all’arrivo di Caselli (gennaio ’93) andammo da lui a informarlo».
Ciancimino a un certo punto, prima di essere arrestato, si rifece vivo con voi avendo ripreso contatto con i vertici della mafia, che – vi disse – riferendosi a voi dicevano in sostanza «e questi chi sono?». Come se ci fossero contemporaneamente ulteriori loro contatti con altri interlocutori. Dobbiamo presumere che un’opaca trattativa avvenisse altrove e per altri canali?
G.D.D.: «Sono convinto di sì. L’interlocutore di Ciancimino era Antonino Cinà. E Ciancimino ci disse, riferendosi alla partita delicatissima che si apriva: “Qui si muore”. L’altro, appunto, gli chiese: “E questi – riferendosi a noi – chi sono?”. E aggiunse, ponendo una condizione ovviamente non accettabile: “Se sono così potenti, risolvano prima i tuoi problemi, e poi vedremo...”».
A un certo punto, a proposito di questo ipotetico altro canale (quello opaco, non il vostro), si evoca la figura di un misterioso “architetto”, un uomo delle istituzioni. Vi siete formati una convinzione più precisa al riguardo?
M.M.: «Leggendo il libro, il lettore potrà farsi un’idea...».
G.D.D.: «Un’idea ce l’abbiamo, ma non abbiamo le prove. E Ciancimino ne parla».
Un lettore di Libero andrebbe lontano dal vero se sospettasse chele “menti raffinatissime” possano essere anche alcuni protagonisti della grande retorica dell’antimafia di parata?
M.M.: «Ciascuno potrà farsi un’opinione al riguardo...».
Vi aspettate polemiche roventi o imbarazzati silenzi?
M.M.: «Imbarazzati silenzi».