Pietrangelo Buttafuoco: il filosofo che profetizzò il totalitarismo del nulla
Era scarso di alunni, Augusto Del Noce, a differenza di Norberto Bobbio che ne aveva tantissimi, ma da quella sua aula desolata è gemmata filosofia – «il più autentico e grande filosofo italiano del dopoguerra», Marramao dixit – mentre dell’azionismo, o di quel che fu il pensiero del collega di facoltà all’Università di Torino, c’è solo ideologia. Anzi, bibliografia. Ecco dunque Attraversare la modernità. Il pensiero inattuale di Augusto Del Noce (Cantagalli, pp. 495, euro 28,00), un saggio di Luciano Lanna sul pensiero e l’itinerario teoretico del filosofo torinese, a 35 anni dalla scomparsa del pensatore e a 60 anni dalla pubblicazione della sua opera principale, Il problema dell’ateismo. Il saggio include un testo inedito di Del Noce del 1961, in cui il filosofo riassumeva in una sintesi unitaria le direttrici della sua ricerca e si avvale di una prefazione del Giacomo Marramao di cui sopra.
La ricostruzione di Lanna – saggista, attualmente direttore del Centro per il Libro e la lettura – ci restituisce un Augusto Del Noce (1910-1989) fuori dagli stereotipi: quello di un filosofo, innanzitutto, il cui itinerario è particolare – dall’amicizia al liceo col futuro collega Bobbio e con Cesare Pavese, al ruolo svolto nella direzione editoriale della Rusconi con Alfredo Cattabiani e Elémire Zolla – e poi ancora quello di un cattolico animato da una profonda fede ma formatosi in un ambiente laico, la Torino degli anni Venti e Trenta, per frequentare un ambiente del quale condivideva l’analisi senza per questo negarsi all’importanza della Tradizione. Come annota Marramao nella prefazione, Destra e Sinistra – ovvero tradizione e progresso – si trovano «immersi nella stessa, tragica, scena: in uno scenario radicalmente nuovo rispetto a quello che aveva segnato le vicende del XIX secolo. Nella lunga guerra civile europea del XX secolo di cui parlava Ernst Nolte fa così irruzione, secondo Del Noce, l’elemento tragico della secolarizzazione».
È a questo punto che Del Noce fa entrare in campo – è Lanna è il primo a sottolinearlo adeguatamente – il concetto di “ucronia” laddove ogni presente, e con esso l’intera storia umana, reca in sé una molteplicità di “virtuali” rimasti inespressi. Nella relazione tra storia e trascendenza – nel processo di secolarizzazione – l’ateismo non va assunto come il destino dell’Occidente ma, al contrario, come il suo problema: «Un processo storico reversibile, contro cui è dunque possibile combattere». Di estremo interesse il capitolo dedicato al pensiero di Marx che è – nella impostazione di Del Noce – il destino stesso della modernità: «Con Il suicidio della rivoluzione» – la riflessione è di Massimo Cacciari – «Del Noce scatenò un grande rumore di fondo. Ebbe una risonanza vastissima negli ambienti del nuovo marxismo. Per me, Marramao, Esposito, Bolaffi e potrei fare tanti altri nomi ebbe un’importanza grandissima».
Poco prima della sua morte Del Noce assiste alla caduta del Muro di Berlino, scorge la stessa globalizzazione da lui definita «unificazione del mondo» e ne tratteggia l’avvento: «Si sta organizzando una società globale, che trae la sua forza dal massimo dell’oppressività con l’aumento del benessere». Un tipo di società che prelude a «un totalitarismo di nuova natura, assai più aggiornato, assai più capace di dominio assoluto di quel che i modelli passati non fossero...». Non a caso, nell’ultimo articolo di argomento filosofico da lui pubblicato e dedicato al saggio La fine della storia di Francis Fukuyama, Del Noce snuda il nervo: «Se il marxismo, che si presentava come l’acme della modernità, ha concluso nel totalitarismo, il post-moderno occidentalista ha il destino di cadere nel suo opposto, nell’alimento del sentimento del nulla».
Prefigurando questo nuovo totalitarismo, Del Noce già nel 1972 profetizzava una situazione in cui «i superstiti credenti in una autorità trascendente saranno emarginati e ridotti a cittadini di seconda classe. Confinati, al limite, in campi di concentramento morali». Era la “società radicale” compiuta da lui prefigurata nei termini di un «totalitarismo morbido» dai tratti nichilisti: «Il nichilismo oggi corrente è il nichilismo gaio. E il peggiore annebbiamento che il nichilismo genera è la perdita del senso dell’interdipendenza dei fattori della nostra storia presente».
Grazie a Luciano Lanna, autore di un saggio davvero definitivo, ripercorriamo tutto il percorso filosofico di un grande pensatore qual è Del Noce che, nei primi anni Ottanta, aveva ben chiaro l’incontro tra ciò che restava del marxismo e l’ordine tecnocratico neocapitalistico.
L’ircocervo che stava trasformando lo stesso Pci in un «partito radicale di massa» la cui identità politico-culturale, altoborghese è «caratterizzata» – scriveva Del Noce – «dal timore di un qualsiasi risveglio religioso, sia cattolico, sia persino comunista, nella vecchia forma del marxismo come religione secolare» Quasi un manifesto politico – che Lanna sa sapientemente valorizzare – è la parte intitolata «La via editoriale alla metapolitica», in cui si ricostruisce l’impegno espresso da Del Noce prima con la casa editrice Borla e poi con Rusconi Libri diretta dal suo allievo Alfredo Cattabiani quando, alla fine del 1969, il filosofo viene arruolato in tandem con Elémire Zolla come consulenti editoriali di un progetto, attorno al quale si affiancheranno anche Rodolfo Quadrelli, Quirino Principe e Cristina Campo.
La collana affidata a Del Noce e Zolla, “Problemi attuali”, nel giro di un paio di anni porterà in libreria decine e decine di titoli in grado di mettere in crisi l’egemonia azionista, crociana e marxista. Verranno ospitati autori riconduAugusto Del Noce (1910-1989) si è formato nella Torino laica tra le due guerre, ma è sempre rimasto legato alla cultura cattolica da cui proveniva e ha colto con lucidità la crisi dell’Occidente secolarizzato e nichilista. Sopra, la copertina del saggio di Luciano Lanna cibili alle diverse declinazioni del pensiero sapienziale e non illuminista, come Étienne Gilson, Jean Servier, Frithiof Schuon, Rene Guénon, Titus Burckhardt, Hans Sedlmayr, Mircea Eliade. L’influsso di Del Noce, inoltre, si avvertì nella riscoperta di Simone Weil e di Eric Voegelin. E sempre grazie alla Rusconi verrà esaudito un antico auspicio di Del Noce: quello di divulgare alcuni classici in una elegante collana intitolata “Tradizione” e in cui verranno ospitati testi di Joseph de Maistre, Donoso Cortés e Pavel Florenskij. Seguì, ovviamente, una campagna demonizzante e di denigrazione della casa editrice su L’Espresso e altre testate. Ma è la solita storia.
Sin dal giugno 1945, Del Noce ha ben chiara l’urgenza di andare «al di là del fascismo e dell’antifascismo», così da inaugurare la stagione del postfascismo quale politica di pacificazione nazionale. Lo ricorderà, negli anni Novanta, il figlio Fabrizio, celebre giornalista, formidabile inviato del Tg1: «C’è una frase di Simone Weil che mio padre amava particolarmente: “Noi dobbiamo essere sempre disposti a cambiare di parte come la giustizia, questa eterna fuggiasca dal campo dei vincitori”. Antifascista della prima ora, coniò il termine anti-antifascista quando cominciò ad assistere a quell’indegno fenomeno – tutto italiano – di soccorso dei vincitori, e soprattutto di immediato ripudio per ragioni di interesse di quello stesso campo che prima si era abbracciato». Aveva appunto l’aula sempre deserta, Del Noce. Ma il dibattito filosofico di oggi, la sua squillante qualità dialettica e la profonda analisi di domani sono viva vita. Il resto è moda. Oltretutto passata, perfino dimenticata.