CATEGORIE

Capezzone: Crepe sul modello tedesco che soffoca l'Europa: qualcuno ci dia un taglio

di Daniele Capezzone lunedì 23 settembre 2024

5' di lettura

Per unire i puntini – stavolta – basta davvero un piccolo sforzo. Dopo il tracollo del primo settembre scorso in Sassonia e Turingia, la Spd ha dovuto sudare le proverbiali sette camicie perfino per mantenere uno strettissimo margine di vantaggio in un land (Brandeburgo) che da sempre era un suo punto di forza, e nonostante che il leader socialdemocratico locale, per tutta la campagna, si fosse tenuto alla larga dal cancelliere federale Olaf Scholz, ridotto alla condizione di “dead man walking”. Nel land i socialdemocratici hanno aumentato i voti rispetto al 2019, e negli ultimi giorni hanno recuperato qualche punto rispetto ai sondaggi della vigilia: ma si è trattato comunque di un testa a testa con AfD, sempre più in vertiginosa ascesa. Le elezioni federali sono ormai in vista (settembre 2025), e occorre concludere che la strategia di demonizzazione di AfD si è rivelata un fallimento spettacolare: qualunque cosa si pensi della piattaforma politica di quel partito, è ormai ridicolo “fascistizzare” (anzi, trattare da nazisti) un tedesco su tre. La realtà (scomoda per gli eurolirici nostrani, da sempre prostrati rispetto al totem tedesco) è che l’establishment politico ed economico della Germania, insieme a quello che è stato per decenni descritto come il “modello” a cui ispirarsi e la “locomotiva” a cui agganciarsi, si stanno misurando con un tracollo che pare sempre più difficile da arrestare: al massimo, com’è accaduto ieri, lo si può rallentare.


Crescita economica rattrappita; Audi e Volkswagen che chiudono stabilimenti e licenziano personale; il governo che – smentendo annidi chiacchiere sull’apertura dei mercati e sulle prospettive di unione bancaria – alza la paletta e blocca un’operazione di una banca straniera (Unicredit). Ovunque ci si giri, si colgono solo segni di declino: a sinistra in modo catastrofico, ma – a ben vedere – con sofferenze pure nel centrodestra cristianodemocratico, con una eredità politica di Angela Merkel (ormai celebrata retrospettivamente solo da alcuni residui adoratori italiani) che si manifesta in tutta la sua carica di ambiguità e di fragilità culturale, e che pesa su successori che non riescono a imporsi.

Se ci fosse – qui da noi – maggiore onestà intellettuale, si dovrebbe chiedere conto in particolare agli uomini della sinistra italiana e agli intellettuali del pensiero “accettato” del loro atteggiamento supino verso i tedeschi in tutti questi anni, con relativo avallo a un’Ue che si è andata strutturando intorno agli interessi e alle esigenze della Germania. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, ragionevolezza avrebbe suggerito di sforzarsi per “europeizzare” la Germania, non certo per “germanizzare” l’Europa, come è invece largamente avvenuto in particolare negli ultimi vent’anni.

Sarà politicamente scorretto ricordarlo, ma qualcuno – al contrario degli eurolirici nostrani – aveva visto lontano e in anticipo. C’è un eloquente aneddoto raccontato da Charles Moore nella sua straordinaria biografia di Margaret Thatcher. Una volta, la Lady di Ferro invitò un gruppo di storici a Chequers, la residenza di campagna del primo ministro britannico, e pose loro un paio di questioni. Primo: come fu possibile che un popolo colto come i tedeschi, negli anni Trenta, accettasse l’avventura nazista? Secondo: quella voglia di espansione, quella propensione a unire l’Europa – ma non nella libertà – potevano riproporsi in futuro, ad esempio attraverso l’economia? Ecco, lasciando la prima dolorosa domanda alla riflessione storica, sarebbe il caso di ragionare – oggi – sul secondo interrogativo, cioè sugli effetti perversi della deludente parabola dell’attuale Ue, troppo allineata agli interessi tedeschi e alla leadership di Berlino, e ormai prigioniera di un apparato di regole e rigidità che la ingabbiano. Sarebbe invece il caso – tornando all’Italia – di recuperare la lezione di una pattuglia di personalità e pensatori non necessariamente antieuropeisti, anzi spesso sinceramente ammiratori – all’inizio – della speranza dei fondatori europei, eppure preoccupati e dissenzienti rispetto al modo in cui si è perseguita la costruzione europea.

LE LETTERE
Paolo Savona è forse la figura storicamente più autorevole di questa scuola di pensiero. Dopo una provocatoria “prima lettera agli amici tedeschi” di qualche anno prima, per ricordare alla Germania la cupa ambizione di Walther Funk (in estrema sintesi: la Germania come paese produttore industriale, con gli altri paesi dediti ad allevamento e agricoltura...), Savona scrisse nel 2017 una lungimirante seconda lettera, che, partendo da una rilettura – testuale e rispettosa – di due mostri sacri come Heine e Kant, andò al cuore del tabù: e cioè il dna culturale e politico della Germania. Le pagine di Savona – per par condicio – sono severe anche rispetto al dna italiano: una certa convinzione di poter non rispettare le regole, o di poter aderire a un trattato con il retropensiero di non rispettarlo. Ma il dna politico tedesco è pericoloso per ragioni opposte: per – mettiamola così – una scarsa attitudine a tollerare le diversità e una irrefrenabile propensione all’omogeneità, all’omogeinizzazione.


Sulla base di questo presupposto non rassicurante, Savona nel 2017 si rivolse direttamente agli amici tedeschi: forti di un simile dna, cosa volete fare? Sollevare problemi o risolverli? E quindi Savona cesellava, attraverso questi riferimenti classici, una critica radicale dell’architettura esistente delle regole europee: sottolineando i vantaggi competitivi ricavati dalla Germania a scapito di troppi altri paesi. Da questo punto di vista, era prevedibile e perfino scontato che molti elettori avrebbero prima o poi cercato rifugio in partiti antisistema: le politiche dettate dal quadrilatero Bruxelles-Berlino-Francoforte-Parigi hanno imposto enormi costi ai cittadini. L’incapacità dei governi di prevenire l’alta disoccupazione e di evitare riduzioni nel tenore di vita ha portato alla disillusione. E ora è troppo comodo girare la colpa sui “populisti”, spesso effettivamente impresentabili: ma se c’è la febbre, la colpa non è certo del termometro.


Rileggere quel pamphlet di Paolo Savona è la migliore risposta a chi meccanicamente tuttora ripete: «Ci vuole più Europa», intendendo peraltro «Ci vuole più Germania». Non era vero ieri, e meno che mai può esserlo oggi. Il governo di Roma lo ha saggiamente compreso, e si muove, anche nel rapporto con l’Ue, in base a schemi più coraggiosi e autonomi, e assai meno scontati del passato. Sarebbe bene che il lutto fosse elaborato anche da un ceto intellettuale più propenso a rieducare il popolo che non ad ascoltarlo.

L'indicatore Indice Zew ai minimi: perché la Germania può crollare

Oltre i livelli di guardia Missili Taurus a Kiev: escalation, l'ultimo tassello

L'editoriale Sicuri sia sempre tutta colpa di Donald Trump?

tag

Indice Zew ai minimi: perché la Germania può crollare

Missili Taurus a Kiev: escalation, l'ultimo tassello

Roberto Tortora

Sicuri sia sempre tutta colpa di Donald Trump?

Mario Sechi

Russia, Medvedev insulta il futuro cancelliere Merz: "Nazista"

Marco Bassani: L'europeismo trasformato in un culto neo-marxista

Infuria la polemica su un documento che credo debba essere posto nella giusta luce. È vero che occorre contestual...
Marco Bassani

Patricelli: La verità nascosta dal Pci su chi uccise il Duce

Un cold case da ottanta anni nella ghiacciaia della storia, con un enigma avvolto da un mistero. In attesa che l’e...
Marco Patricelli

Calessi: Bertinotti e Fini, uniti dalla Lega ma separati sulla guerra

Il rosso e il nero a casa della Lega. Sono stati loro, Fausto Bertinotti e Gianfranco Fini, intervistati dal direttore d...
Elisa Calessi

De Leo, Salvini dopo la telefonata con Vance: "Frizioni? Siamo su scherzi a parte"

La telefonata con J. D. Vance e la contrarietà rispetto alle ipotesi di riarmo. Il vicepresidente del Consiglio M...
Pietro De Leo