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Sandro Iacometti: Germania in panne, Volkswagen annuncia licenziamenti forzati e chiusure di fabbriche

di Sandro Iacometti martedì 3 settembre 2024

3' di lettura

Licenziamenti forzati e, forse, la chiusura della prima fabbrica. Da mesi ci aspettiamo il patatrac in Italia, con Stellantis che continua a perdere quote di mercato, a delocalizzare, a desertificare i nostri stabilimenti. E invece l’annuncio shock è arrivato dalla Germania. Quello che non ti saresti mai aspettato perché, con tutto il rispetto per la nostra vecchia Fiat, la Volkswagen per gli automobilisti (e non solo) è qualcosa che rasenta la mitologia. È il colosso granitico, l’azienda che ha conquistato il mondo con il suo Maggiolino, auto nazista diventata poi il simbolo della cultura hippie (sopravvissuta così alla furia della cancel culture), il gruppo che per anni (malgrado il disastro del diesel-gate) è stato sul primo gradino del podio planetario delle vendite, quello che, si diceva una volta da noi, produce auto un po’ più costose delle altre ma indistruttibili.

Del resto, si sa, i tedeschi fanno le cose per bene. Forse un tempo. Ora, però, con la recessione economica, la fiducia delle imprese a picco, quella dei consumatori pure, il governo claudicante, e l’estrema destra che straripa sulla spinta della crisi e dell’incapacità della sinistra di dare risposte concrete alle emergenze che attanagliano il Paese, le vecchie certezze stanno andando in frantumi. La casa automobilistica ha avvertito che non sarà più in grado di escludere la chiusura di impianti nel Paese, evocando lo spettro di drastiche misure di riduzione dei costi per «proteggere il futuro» dell'azienda. È la caduta degli dei. Un colpo per il cancelliere Olaf Scholz forse più duro da incassare delle sberle elettorali che, tra europee e le ultime regionali in Turingia e Sassonia, continua a prendere. L’analisi del ceo Oliver Blume spiega cose non nuove.

«Il contesto economico è diventato ancora più difficile e nuovi concorrenti stanno entrando nel mercato europeo», ha sottolineato il manager. «Inoltre, la Germania, in particolare come luogo di produzione, sta perdendo terreno in termini di competitività». Blume si riferisce ovviamente alla Cina, al flop delle elettriche, ai costi dell’energia schizzati alle stelle dopo lo stop del gas russo e l’assurda chiusura delle centrali nucleari, alle conseguenze del folle green deal europeo (fortemente sostenuto dalla Germania). Fattori che hanno fatto precipitare le vendite (-1,7% a luglio, con il mercato che ha fatto +0,2) e i conti (utile giù del 13,9% e margine operativo a -11% nel primo semestre).

Nulla di più scontato, dunque, che fosse nell’aria qualche dieta dimagrante. Epperò l’annuncio arrivato da Blume lascia comunque di stucco. Non ci sono margini di manovra, piani B. L’azienda, ha spiegato, «deve ora agire con decisione». Al punto da prospettare la disdetta del suo grande accordo di protezione dell'occupazione siglato con il potente sindacato IG Metall, un programma di sicurezza del lavoro in vigore dal 1994 che garantisce gli operai da licenziamenti non concordati fino al 2029. Il che significa che gli unici tagli possibili sono i pensionamenti anticipati o le uscite incentivate. La situazione non lo permette più. Adesso è il momento di porre in essere «gli adeguamenti strutturali urgentemente necessari per una maggiore competitività nel breve termine». E tra gli aggiustamenti, cosa impressionante per i tedeschi, rientra anche la prima chiusura di una fabbrica Volkswagen negli 87 anni di storia del gruppo. «Nella situazione attuale, non si può escludere la chiusura degli impianti di produzione di veicoli e componenti se non si interviene rapidamente», hanno spiegato dall’azienda.

Ma intervenire rapidamente significa licenziamenti di massa. Il programma di riduzione dei costi, infatti, esiste già. Lanciato nel 2023, avrebbe dovuto cambiare la situazione e migliorare i profitti di 10 miliardi di euro entro il 2026. L'attuale debolezza delle attività, però, ha aggravato la situazione. E per migliorare ulteriormente i profitti, i costi dovranno essere ridotti più del previsto. Almeno di 4 miliardi, ipotizza il quotidiano Handelsblatt. I problemi, per Scholz, sono appena iniziati. All’annuncio della casa automobilista hanno infatti replicato in tempo reale i I leader sindacali del marchio, pronti ad intraprendere una battaglia senza quartiere. Secondo Daniela Cavallo, a capo del consiglio di fabbrica Volkswagen, «questo mette in discussione lo stesso marchio, il cuore del gruppo. Ci difenderemo strenuamente da tutto questo». Con me, ha concluso «me non ci saranno chiusure di fabbriche». 

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