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Carioti: le tensioni tra Chiesa e governo riguardano anche i soldi

di Fausto Carioti martedì 13 agosto 2024

4' di lettura

 Per almeno un quarto di secolo, durante le presidenze di Camillo Ruini e Angelo Bagnasco, e dunque fino al 2017, la Conferenza episcopale italiana è stata accusata di «ingerenze» negli affari interni dello Stato. Anche se i temi su cui intervenivano i vescovi riguardavano la dottrina. Anzi, il cuore stesso della dottrina: l’aborto, l’eutanasia, la procreazione assistita, il matrimonio tra individui dello stesso sesso. Argomenti che, secondo un documento del 2002 approvato da Giovanni Paolo II e scritto dall’allora cardinale Joseph Ratzinger, i cristiani debbono affrontare con «principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono “negoziabili”».
In pochi anni sono cambiate molte cose, e adesso si assiste a un fenomeno nuovo: vescovi e prelati di ogni grado intervengono tutti i giorni, forti dell’autorità morale garantita dal loro ruolo pastorale, su argomenti che più “politici” non potrebbero essere e che con la dottrina cattolica non hanno nulla a che vedere, come l’autonomia differenziata e la riforma costituzionale che dovrebbe introdurre l’elezione diretta del premier.


COL MANIFESTO DI LANDINI & C.
Eppure, nessuno li accusa di ingerenze. Né la sinistra, che li applaude e rilancia le loro prese di posizione perché le fa gioco, non ritenendo in questo caso la «laicità dello Stato» un valore da difendere. Né la destra, che mugugna in silenzio (almeno fin quando Giorgia Meloni non decide che la misura è colma, e allora può succedere che prenda la parola per ricordare al presidente della Cei, Matteo Maria Zuppi, preoccupato per il disegno di legge sul premierato, che «il Vaticano non è una repubblica parlamentare, e nessuno ha mai detto di preoccuparsi per questo»).


La vicenda accaduta domenica a Napoli nella chiesa di San Giorgio Maggiore riassume bene questa situazione. Prima di congedare i fedeli e dare loro la benedizione, e dunque quando la messa ancora non era finita, il sacerdote ha invitato i presenti a firmare, hic et nunc, in favore del referendum proposto dalla sinistra per abrogare la legge che introduce l’autonomia differenziata. Ha spiegato che nella sua chiesa non si fa politica, ma siccome la Conferenza episcopale si è espressa in termini molto chiari contro quella riforma, loro si sono attrezzati per raccogliere le firme.

Così, all’inizio della navata di quella chiesa ottocentesca, un banchetto con appesi i manifesti del comitato referendario creato da Maurizio Landini, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli, Gianfranco Pagliarulo, Elly Schlein, Rosy Bindi, Maria Elena Boschi, Riccardo Magi ed altri (in pratica lo stato maggiore dell’opposizione), consente di firmare per cancellare l’autonomia differenziata e dare una spallata al governo. Quel sacerdote non è una scheggia impazzita, un uomo fuori di testa. Quando il Consiglio episcopale permanente pubblica una nota in cui sostiene che l’autonomia differenziata «rischia di minare le basi di quel vincolo di solidarietà tra le diverse Regioni, che è presidio al principio di unità della Repubblica», quando il vicepresidente della Cei, Francesco Savino, annuncia che «è l’ora di non fare silenzio, è l’ora di osare», quando lo stesso Zuppi bolla autonomia differenziata e premierato come «scelte di parte» che il governo dovrebbe ripensare, legittimano e incoraggiano la militanza di quel prete napoletano e di tutti gli altri.


Anche se la partita vera è molto più grande, e la decisione dei vescovi di affiancare la sinistra nella battaglia contro le due riforme è solo ciò che si agita in superficie. Sotto ci sono le richieste che Zuppi e i suoi fanno al governo affinché cambi le regole dell’Otto per mille. Quelle attuali, infatti, mettono lo Stato in diretta concorrenza con la Chiesa italiana, alla quale ogni anno toglie firme e soldi. Nelle dichiarazioni dei contribuenti relative ai redditi del 2010, la Chiesa cattolica aveva l’82,2% delle scelte e lo Stato il 13,3%; dodici anni dopo la quota dello Stato era raddoppiata e quella della Chiesa era piombata al 67,3%. Così la fetta di gettito destinata alle opere del clero si è rimpicciolita, scendendo sotto al miliardo di euro. E siccome il processo pare inarrestabile, in ogni incontro a porte chiuse che fanno col governo, i vertici della Cei chiedono di limitare il ruolo dello Stato nella raccolta dell’Otto per mille. Inascoltati, almeno sinora.


I FEDELI E LE GERARCHIE
Non migliora i rapporti tra esecutivo e Conferenza episcopale l’insistenza con cui la Pontificia accademia per la Vita chiede alla destra, ora anche pubblicamente, il varo di una legge bipartisan sul fine vita, che magari prenda spunto – ammorbidendolo – dal disegno di legge presentato dal senatore pd e cattolico prodiano Alfredo Bazoli, uno che tra i vescovi conta molti amici. Anche se l’accademia fa capo al Vaticano, e non alla Cei, il suo presidente, Vincenzo Paglia, è vicinissimo a Zuppi. E una simile legge sul suicidio assistito è considerata da tanti, nel governo e nella maggioranza, un “favore” all’opposizione, come tale da non fare. Di tutto questo i fedeli sanno poco o nulla. Hanno molto chiara, però, la simpatia crescente che le gerarchie ecclesiastiche mostrano per le battaglie della sinistra. Non tutti la apprezzano, e forse anche così si può spiegare quel crollo delle firme nella casella dell’Otto per mille che preoccupa tanto Zuppi (più dell’autonomia differenziata e del premierato, racconta chi ne ha discusso con lui).

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