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Osmetti, "Più decoro sul lavoro", e il procuratore ordina il dress code in tribunale

di Claudia Osmetti sabato 13 luglio 2024

3' di lettura

U n - p o ’ - d i - c o n t e g n o - q u e sta -è -una -procura. Calzoncini, short e infradito. Magliette scollate. Top, canotte, vedo -non -vedo. L’orrore supremo: le ciabatte. Di plastica, da piscina, a righe blu e bianche, che fanno venire un colpo (postumo) a Coco Chanel quando le vedi il sabato pomeriggio sul corso: figuriamoci negli uffici della Giustizia che dovrebbero essere il tempio di forma e sostanza. E invece, la sostanza c’è pure, ma la forma latita. A Bari, il procuratore Roberto Rossi, ha detto basta.

L’ORDINE DI SERVIZIO

Per entrare in procura, e «a qualsiasi titolo» (quindi vale per i magistrati e anche per le parti, come i testimoni o gli indagati), d’ora in poi, si dovrà indossare un «abbigliamento consono». Il più possibile rispettoso «nei confronti delle istituzioni che questi luoghi rappresentano». «Decoroso». «Pertanto sarà vietato l’ingresso a coloro che si presentano in pantaloncini corti, bermuda, canottiere» e via dicendo.

È un ordine (di servizio) non derogabile. Nel senso che più ufficiale di così si muore (è stato pubblicato, come avviso, giovedì scorso, sul portale on-line della procura barese) e che è stato comunicato anche agli addetti alla sicurezza. I quali han già cominciato a controllare gli ingressi. (Pare, dai primi resoconti, che il “dress code” tribunalizio abbia fatto, almeno nelle prime ore, più strage di signore che di uomini: qualche avvocatessa, qualche parte processuale, addirittura qualche giornalista. Ma sarà il caldo, sarà l’afa, sarà che noi donzelle ci sentiamo più libere a mostrare uno scampolo di spalla quando fuori ci sono quaranta gradi). Loro, di contro, cioè i vigilantes, nel dubbio, han preferito non rischiare: dopotutto la misura ha un intento chiarissimo. «Occorre», si legge, «garantire che l’attività giudiziaria si svolga in un contesto di decoro consono all’importanza dell’attività svolta» e «per il raggiungimento di tale obiettivo è necessario un abbigliamento appropriato».

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Sembra una di quelle circolari scritte dai presidi a inizio anno (non a caso il contenuto è identico), quando classi di adolescenti si presentano con la mini e i sandali da spiaggia. Ecco, no. Che proprio tutti i torti, il procuratore Rossi, non ce li ha. Solleone a parte, ci stiamo abbruttendo (maschietti, non siete immuni nemmeno voi: ché arrivati a una certa età il polpaccio cadente, ce lo potete risparmiare), non diamo importanza a nulla.

Senza contare che la magistratura barese è solo l’ultima ricorsa al “codice di abbigliamento”. D’accordo, le sue chat degli avvocati, da un giorno e mezzo, non parlano d’altro: sia perché l’ordine pare perentorio sia per la rigidità con cui è stato applicato aitornelli d’accesso. Però non è il primo. Nel luglio del 2016 il tribunale di Pisa ha confermato (la disposizione era in vigore prima), con una circolare, il “codice estetico” per i processi roventi: intesi come quelli che si svolgono in estate. Civile, penale, nessuna differenza. Gonne e pantaloncini talmente corti che sembrano costumi da bagno, infradito e bermuda: tutti al bando. L’anno prima, ossia nel 2015, sono state circa quaranta le persone non ammesse causa canottiera impudica.

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GLI ALTRI CASI

Ad agosto 2019 il buttafuori di cancellieri e amministrativi e di legali e praticanti (nonchè dei loro clienti) ha fatto tappa a Bergamo; poi è stata la volta di Livorno e infine un’avvocatessa di Trieste, pur non essendoci nel suo foro alcuna circolare, è stata espulsa dall’aula durante un’udienza: ritorni-vestita-in-altro-modo.

Nel giugno del 2022 ha fatto lo stesso la Giustizia di Velletri: «Il presidente, rilevato che con l’approssimarsi della stagione estiva è stata riscontrata la presenza in tribunale di persone in abbigliamento non adeguato al decoro dell’ufficio, visti gli articolo 128 del codice di procedura civile e 470 e 471 di quello di procedura penale (nientemeno, ndr) che disciplinano lo svolgimento delle udienze, dispone il divieto assoluto di ingresso (...) con abiti succinti e non consoni». Poco prima di Bari, nel giugno scorso, è toccato al tribunale di Sulmona: pure in Abruzzo i grandi proscritti sono quelli di sempre (shorts, infradito, i pantaloni solo alla caviglia) e la motivazione è la medesima.

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