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Gli scritti inediti di Gabriele D'Annunzio per Eleonora Duse

Francesco Specchia
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“Erbe parole et pietre/son materia di virtù/a presso certi filosofi/matti e insensati”. Il verso, in calligrafia nobile e arrotondata, è una citazione da Giordano Bruno (l’originale, l’eretico infiammabile, da cui Giordano Bruno Guerri, Presidente del Vittoriale degli italiani ha preso il nome e non solo). Il verso campeggia sulla copertina ingiallita, e sudi essa pare addensarsi la polvere dei secoli, detto dannunzianamente. Poco sotto, in epigrafe, si legge: «La follia non è più ricca di te», frase dedicata alla sua Eleonora Duse, roba ripescata in un vecchio taccuino di inizio ‘900, giusto per attribuirsi con orgoglio «la matta insensatezza della citazione», certificano gli esegeti. Ecco. Questo è l’incipit di - appunto - di Erbe parole e pietre, il nuovo Gabriele d’Annunzio dedicato alla Duse: ossia un inedito che si materializza tra gli oltre 15mila libri e bozze, e manoscritti e 1000 lettere, carteggi, appunti, cartoline provenienti dal fondo Mario Paglieri appena acquisito cash, senza alcuna sovvenzione pubblica - dal Guerri, reincarnazione del Vate che oggi ritrova il suo lato oscuro della Luna. Erbe parole e pietre è la bozza - ineditissima - di un libro che il poeta diede in prove di stampa a Arnoldo Mondadori Editore; e che ora Libero propone alla posterità, come prima perla di un tesoro nascosto in grado di modificare la stessa geografia dannunziana. Siamo nel novembre del 1934 e l’attività letteraria di d’Annunzio non è più regolare ma anzi estremamente diluita nel tempo. Il volume Erbe parole e pietre doveva uscire in tre tomi e doveva essere la summa di esplorazioni del «proprio essere» dell’oramai anziano poeta. Le suddette esplorazioni erano state vendute come «introspezioni» che del Vate avvolgono la solita scrittura tonante: «Quando nella notte io sono chino sulla mia pagina, in questa mia officina, operaio, artiere artista, intera volontà d’invenzione e di espressione, puro come l’arrivo della stessa notte innanzi l’alba...».


D’Annunzio, per inciso, adottò qui la solita tecnica da vecchio marpione editoriale: proporre a Mondadori un progetto «quasi finito» ma in realtà condensato in poche paginette; riscuotere il lauto anticipo; e infine lasciare il tutto in una talentosa incompiutezza. Confidando nel fatto di «essere d’Annunzio» ossia l’arte personificata, la sfangava quasi sempre. Ma, in questo caso, d’Annunzio non abbandonò del tutto il progetto. Ne prese alcune parti fondanti e ci costruì sopra un’altra opera, passata poi alla storia. «Questo libro di cui vennero predisposti da Mondadori i due frontespizi e tirate alcune prove di stampa in realtà non venne mai alla luce - come spessissimo era avvenuto nelle vicende editoriali legate d’Annunzio», ci racconta Roberta Valbusa, tra le anime dell’archivio del Vittoriale «perché sostituito, dopo poche settimane, dal Libro segreto che nel frattempo il poeta a Gardone andava componendo e nel quale confluiranno alcuni frammenti proprio di Erbe parole e pietre». Il libro segreto apparve infatti nel 1935, fu l’ultimo lavoro di grande spessore del poeta; e le sue pagine brossurate vennero sottoposte a restauri progressivi e leggendari, perfino sul ripristino dei caratteri tondi al posto dei corsivi. «Abbandonando il titolo Erbe parole e pietre, desidero pubblicare la massima parte del Segreto per numero di pagine: quattrocento, cinquecento, etc.», scrisse il poeta al suo editore. Il valore filologico dell’opera riscoperta è, naturalmente, enorme.
Però rischia di ridimensionarsi, se inserito nello spettacolare contesto dell’acquisizione dell’archivio di Mario Paglieri, il fondatore dell’azienda Felce Azzurra, quella del borotalco. Guerri ne ha raccontata la storia nella cornice del Festival della Parola, alla Fondazione Magnani Rocca di Traversetolo (Parma).


«Paglieri, proprietario del marchio Felce Azzurra, appassionato di Gabriele d’Annunzio fin da quando aveva 12 anni, ha accumulato una quantità di documenti straordinari.
Ora, i collezionisti si dividono in quelli che ti sventolano sotto il naso i loro pezzi e quelli che non ne parlano neanche sotto tortura. Paglieri appartiene alla seconda categoria», racconta Guerri che da decenni cercava di carpire segreti al collezionista. «Poi, a 91 anni, Paglieri si è ammalato e i figli mi hanno invitato a visitarne la collezione, per venderla al Vittoriale».
Guerri, dunque, visibilmente eccitato, si reca negli ampli appartamenti di Alessandria dove erano conservati i “pezzi” dannunziani, che avrebbero dovuto essere sgomberati per fare posto a una palestra.


«E lì, con sommo stupore, mi sono trovato dinnanzi a decine di migliaia di carte e libri impilati fino al soffitto alto 7 metri, un tesoro...», continua Guerri. Tra di essi anche molti documenti spariti, trafugati e mai ritrovati dal Vittoriale, di cui il Vittoriale, per arabesco del destino, è rientrato oggi in possesso.«È stato un grande investimento economico, ma soprattutto un’operazione dal grandissimo valore culturale, che ci permetterà di scoprire sfumature rimaste ancora inedite di d’Annunzio, dei suoi rapporti personali e professionali e della costruzione del Vittoriale. Adesso tutto torna a casa, come giusto. Una parte dei libri andrà a Pescara a costituire la prima biblioteca dannunziana abruzzese. Questo materiale darà lavoro agli studiosi per anni e anni, perché bisognerà riscrivere le biografie di d’Annunzio compresa la mia, e questo mi diverte». Diverte e impegna, oseremmo. Considerando anche la messa a terra del progetto Tpt – Tutto per tutti (cioè la digitalizzazione completa degli archivi del Vittoriale: milioni di pezzi, tra cui le centinaia di lettere che venivano scritte al poeta ogni giorno), il lavoro di ricerca al Vittoriale s’è decuplicato, al punto da dover assumere una task force di studiosi che in un anno dovrebbe dipanare, catalogare, archiviare la mole della nuova produzione dannunziana, incommensurabile quanto l’ego e il genio del Vate...

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