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Salvatore Dama: Ruini svela il tentato golpe contro Silvio

di Salvatore Dama lunedì 17 giugno 2024
Salvatore Dama: Ruini svela il tentato golpe contro Silvio

3' di lettura

Alla fine dei tempi Silvio Berlusconi lamentava di aver subìto sette, addirittura otto “colpi di Stato”. Il Cavaliere metteva in fila i suoi nemici eli accusava di aver tramato per disarcionarlo, usando metodi non convenzionali. E poco democratici. La sua “black list” era lunga. Ci metteva dentro un paio di presidenti della Repubblica, la magistratura (presenza fissa), leader stranieri, i giornaloni, gli immancabili “poteri forti”.
Per la verità, mai nessuno (o quasi) ha preso sul serio la gravità delle accuse berlusconiane. Anche perché le sue esperienze governative, quando si sono concluse anzitempo, lo hanno fatto per un mix di fattori. E tuttavia, che nel Palazzo con la Q maiuscola lavorasse per facilitare la caduta - e possibilmente l’uscita di scena - del Cav, è un segreto ben custodito nel ventre della politica. Per la precisione ci sono stati due capi di Stato che non hanno particolarmente amato Silvio. Uno è Oscar Luigi Scalfaro. Eletto presidente durante la tempesta di Tangentopoli (1992), forse si aspettava un risultato diverso dalle urne (1994), invece si trovò costretto a indicare Berlusconi come presidente del Consiglio. Scalfaro non si rassegnò mai a quella coabitazione. E leggenda narra che, appena otto mesi dopo l’inizio del mandato, convinse Umberto Bossi a mollare l’alleato, perché tanto di lì a poco se lo sarebbero pappato i giudici. Una interpretazione alquanto “proattiva” dell’incarico quirinalizio.
Che ieri ha trovato conferma nelle parole del cardinale Camillo Ruini, affidate al Corriere della Sera. Alla guida della Conferenza episcopale italiana dal 1991 al 2007, Ruini è stato testimone di una lunga pagina politica. Punto di riferimento per una moltitudine di leader, che a volte lo incontravano per chiedere consiglio, altre volte per domandare una mano. Ed è quello che fece Scalfaro, invitando a pranzo al Colle il cardinale Angelo Sodano, il monsignor Jean-Louis Tauran e il presidente della Cei. In quella occasione il garante delle istituzioni se ne venne con una richiesta originale: aiutarlo a dare una spallata alle istituzioni. Ruini conferma.
«Effettivamente andò così.
La nostra decisione di opporci a quella che ci appariva come una manovra, al di là della indubbia buona fede di Scalfaro, fu unanime. E pensare che Scalfaro era stato per me un grande amico.
Rammento quando De Mita nel 1987», prosegue il cardinale, «gli aveva offerto di diventare presidente del Consiglio, in opposizione a Craxi e con la benevolenza del Pci.
Scalfaro allora era venuto da me e mi aveva detto che avrebbe rifiutato. “Fa bene”, avevo risposto. E infatti a Palazzo Chigi sarebbe poi andato Amintore Fanfani. Per questo rimasi colpito dal modo in cui aveva cambiato posizione, così nettamente.
Penso che Berlusconi abbia mostrato i suoi pregi e i suoi limiti, come tutti gli altri politici, ma che non abbia avuto in alcun modo fini eversivi. I pericoli per la Repubblica semmai erano altri».
Sono fatti che ormai interessano gli storiografi, trent’anni in politica sono un’era geologica. E, oltretutto, i protagonisti di questa vicenda non ci sono più. Però Forza Italia rilancia le parole di Ruini come la conferma che le denunce berlusconiane non erano frutto della sua fantasia. «Cade il velo su un’altra ipocrisia italiana. Si tratta dell’ennesima prova di quell’accanimento che, dai palazzi della politica italiana e internazionale a quelli della giustizia politicizzata, videro come bersaglio per oltre 25 anni Silvio Berlusconi», sostien il vicepresidente della Camera e deputato di Forza Italia, Giorgio Mulé.
«Scalfaro», dice il presidente dei senatori azzurri, Maurizio Gasparri, «resta una delle figure inquietanti della vita della Repubblica e quanti con lui congiurarono contro il legittimo governo espresso dagli italiani saranno per sempre inseguiti da una colpa gravissima». «La storia», commenta Alessandro Cattaneo, deputato di Forza Italia e Responsabile dei Dipartimenti del partito, «presto o tardi fa il suo corso e dà ragione al presidente Berlusconi».

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