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Montesano, Fabrizio Cicchitto: "La sinistra tifava per il colpo di Stato di Tangentopoli"

di Tommaso Montesano martedì 4 giugno 2024

Fabrizio Cicchitto

5' di lettura

«Peccato che Curzio Malaparte sia morto». Fabrizio Cicchitto ha appena finito di leggere l’intervista di Giovanni Pellegrino sul Corriere della Sera. Quelle parole dell’ex parlamentare del Pci-Pds-Ds sul tentativo della magistratura, nella stagione di “mani pulite”, di affermare il «primato del potere giudiziario in contrasto con il disegno costituzionale», lui le pronuncia da decenni. Ci ha anche scritto un libro - «L’uso politico della giustizia», anno 2006 - a prova di querele: «Non l’hanno toccato...». Logico che Cicchitto, che oggi presiede un’associazione, Riformismo e Libertà, ed è condirettore di Civiltà socialista, accolga con favore le rivelazioni- «da mosca bianca», dicedell’ex senatore comunista.

Cosa c’entra Malaparte con Pellegrino?
«Malaparte negli anni Trenta ha scritto un libro, Tecnica del colpo di Stato, nel quale spiega come avveniva la presa del potere attraverso la forza: o per via militare, o con gli squadristi. Ecco, se fosse vivo potrebbe aggiungere un capitolo sul colpo di Stato moderno».

E non con le Forze armate, a naso...
«Con la magistratura politicizzata, come avvenne nel biennio 1992-1994. Quando, cessato il pericolo sovietico, senza carri armati né squadre, sostituiti da avvisi di garanzia e arresti, sono stati cancellati il Psi, l’area di centrodestra della Dc e i partiti laici giocando di sponda con il Pci-Pds. Eppure i comunisti erano a pieno titolo nel sistema».

Indossi i panni di Malaparte e aggiorni la tecnica del “nuovo golpe”.
«È avvenuto con il sistema della “sentenza anticipata” caro a Francesco Saverio Borrelli: con l’avviso di garanzia o le manette sono stati rasi al suolo, colpendo nel consenso e nel prestigio i loro segretari politici, i partiti della maggioranza di governo. I tre gradi di giudizio non hanno contato più nulla, nessuno si è accorto degli sviluppi processuali successivi: politicamente i leader erano già stati condannati».

Tutti tranne il Pci.
«Il sistema del finanziamento irregolare riguardava tutti i partiti: per la Dc c’erano la Cia, il cosiddetto “quarto potere” e le partecipazioni statali; per i comunisti il Kgb, le cooperative rosse e le società di import/export con i Paesi dell’est».

E questo Pellegrino non lo nasconde.
«Le Cooperative finanziavano il Pci in più modi. C’era un “canale di scorrimento” in base al quale non pagavano tangenti, ma vincevano gli appalti. Sostenevano tutte le manifestazioni del Pci e una parte dei dipendenti pur essendo inquadrata nelle Coop, di fatto lavorava per il partito».

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Cosa intende per “canale di scorrimento”?
«I grandi appalti erano a rotazione. Stavano tutti al gioco, alle Coop spettava una quota del 20/30%. Ma il gruppo dirigente del Pci-Pds non fu toccato. I comunisti ebbero solo qualche problema tra i quadri intermedi».

In tutto questo, nel biennio del “golpe”, quale ruolo gioca Silvio Berlusconi?
«Ci sono stati due Berlusconi: una prima fase termina quando il Cavaliere capisce che la partita, per i leader e le forze del Pentapartito, è chiusa. In quel momento Berlusconi non ostacola il Pool, anzi lo fa seguire con interesse dalle sue tv silenziando di fatto i segretari di Dc e Psi. E in questo periodo non riceve avvisi di garanzia. La seconda fase inizia quando scende in campo con Forza Italia: gli arrestano il fratello Paolo. Della serie: “Attento a te”. E infatti inizia il bombardamento giudiziario a cui, paradossalmente grazie al conflitto di interessi, risponde colpo su colpo con i suoi giornali e le tv. Cosa che ai partiti della Prima repubblica non fu possibile».

Il Pci era così monolitico a difesa delle toghe?
«I “miglioristi” non erano per la via giudiziaria; i “ragazzi di Berlinguer”, invece, sì. Il senatore Gerardo Chiaromonte avvisò qualcuno nella Dc, e Craxi, che il Pci aveva scelto la rivoluzione delle toghe. Bettino mi chiamò e mi chiese lumi: “Che significa?”. Quello di Chiaromonte fu un avviso bonario».

Del quale solo successivamente capiste il senso...
«Mettiamo in ordine i fatti sul Pool: Antonio Di Pietro, quando era commissario di polizia a Bergamo, era molto amico di Vincenzo Balzamo, segretario amministrativo del Psi, ed entrò nel ristretto circolo socialista di Milano. Poi gli dissero “vai e uccidi”... Quando Di Pietro esce dalla magistratura, Massimo D’Alema e gli altri lo candidano nel collegio blindato del Mugello. Tranne Tiziana Parenti, che infatti sarà messa da parte, tutti i componenti del Pool mettono in evidenza il legame col Pci-Pds. Gerardo D’Ambrosio era un comunista esplicito e fu lui, unico caso nella storia, a fare indagini difensive a favore dell’accusato, Primo Greganti; Gherardo Colombo fu eletto nel Cda Rai su indicazione della sinistra».

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Prima ha accennato ai tre gradi di giudizio di fatto cancellati, ma anche all’interno del palazzo di giustizia la macchina giustizialista non incontrò ostacoli.
«Il giudice Guido Salvini ha spiegato bene il meccanismo infernale utilizzato: il Pool metteva tutto dentro un unico faldone che poi, in un ufficio Gip di venti magistrati, finiva sempre all’attenzione dello stesso: Italo Ghitti. Ghitti dava sempre ragione alla Procura, poi nel 1994 è finito Csm».

Un episodio celebre è quello sulla valigetta con un miliardo di lire in via delle Botteghe Oscure.
«Di Pietro ha detto di essere arrivato ai piani nobili del Pci... È il famoso viaggio di Raul Gardini nella sede comunista, con il leader del gruppo Ferruzzi davanti all’ascensore e un funzionario del partito che gli chiede: “Dottor Gardini so che lei ha una valigetta per noi”. E lui la consegna. Fine della storia. Di Pietro in quest’occasione diventa improvvisamente garantista. Ha spiegato: “Non ho le prove su chi abbia preso la valigetta, chi dovevo indagare?”. Fosse accaduto al Psi, avrebbe messo sotto torchio il portiere e tutti i dipendenti».
 

Lei ha messo in fila le “coincidenze”. Quali altre ricorda?
«C’è una sentenza sulla Metropolitana Milanese del 1996 nella quale è messo nero su bianco che il Pci incassava una quota fissa intorno al 18% sul totale delle tangenti. I fondi erano così ripartiti: due terzi ai berlingueriani, un terzo alla corrente di Gianni Cervetti. E a proposito della vicenda Enimont, prima che mi dimentichi, mi viene in mente un altro aspetto».

Prego.
«Nel processo Cusani l’avvocato Giuliano Spazzali chiese di convocare e ascoltare, come testimoni, i vertici del Pci-Pds, Achille Occhetto e D’Alema. Il giudice Giuseppe Tarantola rigettò la richiesta».
 

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