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Osmetti: condonare la veranda? Vent'anni (e non è finita)

di Claudia Osmetti giovedì 23 maggio 2024
Osmetti: condonare la veranda? Vent'anni (e non è finita)

4' di lettura

È che poi rischia di finire così. Come a Bari. Come per quel condomino che aspetta da vent’anni un condono per una veranda abusiva ed è costretto a sollecitare, a chiedere, a richiedere, ad andare a bussare perfino al Tar, cioè al tribunale amministrativo regionale, pur di avviare i lavori di ristrutturazione che sarebbero addirittura coperti da un rimborso statale ma, per adesso, ancora, non si vede il caschetto di un operaio. Sulla vicenda, lunga e complessa, fatta di carte bollate e uffici dell’Urbanistica, tra non molto ci arriviamo.

IL PIANO CASA

Partiamo, però, dallo scenario, da quel che ci sta attorno e che parte Puglia bensì a Roma. Vaglielo a raccontare, ora, all’agguerritissima opposizione parlamentare, che casi come questo, capitano (e spesso). Vaglielo a dire, ai deputati grillini che da ore già sbraitano: «Salvini sul fantomatico “piano salva-casa” ha del grottesco, più lo esponente più si sente puzza di condono anche a distanza di chilometri»; oppure a i colleghi dem che, stringi stringi, è lo stesso, prevedibile, ritornello («Se Salvini si occupasse un po’ meno di promettere condoni di qualunque tipo avrebbe altro da fare per salvare le case degli italiani»).

Non fa in tempo, il governo Meloni, ad annunciare (se ne riparla ufficialmente domani in Consiglio dei ministri) il nuovo “piano salva-casa”, che a sinistra parte il solito coro di indignati di professione. Nel senso che fan proprio solo quello, s’indignano e basta. Son fatti così, i compagni di ieri e di oggi, leggono “condono” (anche se il vicepremier Matteo Salvini si affretta a smentire che non va inteso a maglie larghe) e gli prende l’orticaria: a prescindere. Mica vanno a vedere o cercano di capire che le piccole irregolarità (nessuno le sta difendendo) diventano un dramma enorme quando ce ne sono cinque milioni (stima che, qualche anno fa, si riteneva potesse riguardare le pratiche condono ancora da evadere).

Niente. Se l’esecutivo pensa di “regolarizzare” (vocabolo un po’ più signorile) queste situazioni, la minoranza imbraccia l’arma della polemica. Vecchia quanto Matusalemme, tra l’altro. E tutta la banda al seguito: dichiarazioni, accuse, sberleffi. Epperò la realtà è un’altra cosa.

È, la realtà, e ci siamo arrivati, il contenzioso che un palazzone di Bari, apre col Comune perché aspetta il condono per una veranda da vent’anni e non solo non c’è, il condono, ma nonc’è nemmeno il suo rigetto. Resta tutto in stand-by, sospeso, fermo sul limitare di un cantiere che (quindi) non può partire. All’ottavo piano di questo condominio, siamo agli inizi del Duemila, su un lastrico solare, una signora fa costruire una veranda.

Abusivamente, perché di autorizzazione non ne ha manco l’ombra e, per giunta, quello è uno spazio comune. Non si fa. Chiariamocelo e siamo onesti: a voler essere furbetti la si paga sempre, se un’area non è edificabile un motivo ci sarà (spesso, non è detto valga in questo frangente, è la sicurezza) e comunque la proprietà privata, sia anche condominiale, è un diritto inviolabile.

LE RICHIESTE

Ma precisato l’ovvio, tocca vedere nella pratica, successivamente, cosa succede: perché a Bari succede che la signora avanza una richiesta (legittima) di condono nel 2004, solo nove anni dopo quella domanda viene esaminata e rigettata, allora lei prova con l’annullamento in autotutela del provvedimento di diniego e si aggiungono scartoffie, faldoni e documentazioni che non fanno altro che ingrossare un raccoglitore dentro un ufficio e bollo su bollo, foglio su foglio, per circa dieci anni senza arrivare a una conclusione. Veranda sì, veranda no, “la terra dei cachi” (avrebbe cantato qualcuno).

Si trascina tutto, immutato e nel dubbio, fino all’anno scorso, cioè al 2023: sono passati diciannove anni dalla prima richiesta di condono. Il condominio della signora ha bisogno di svolgere alcuni lavori di manutenzione straordinaria: piccola fortuna, rientra nel beneficio fiscale del credito di imposta; grande sfortuna, quella “benedetta” (si fa per dire) veranda si frammezza tra il bonus e gli inquilini. Però oramai son due decenni che c’è. Però oramai han provato (e non una volta sola) a sanarla. Però, tutto sommato, mica stiamo parlando di un campo da golf, di un palazzo intero, di chissà quale ecomostro: è una balconata all’ottavo piano, quanto enorme può essere?

Dura lex eccetera: perché il condominio non accampa diritti a vanvera, vuole essere nel giusto e vuole, cioè, solo una risposta (possibilmente definitiva) sulla veranda che, nel frattempo, ha ottenuto la maturità. Per questo fa ricorso, il condominio, e lo fa al Tar. Chiede che il Comune di Bari si pronunci, lo dica una volta per tutte, qui, ora e per sempre: quella veranda è (ancora) abusiva o no? E il Tar gli dà ragione, dà anche trenta giorni di tempo al Comune per pronunciarsi: netto, però, o così o cosà, senza tentennamenti dato che ««In caso di inutile decorso del termine si procederà alla nomina di un commissario ad acta le cui spese saranno poste a carico della stessa amministrazione con possibili profili di danno erariale». Oibò. Solo a Bari pratiche simili che devono ancora essere esaminate sfondano abbondantemente oltre le 4mila. Un plico che la metà basta. Ecco cosa significa il “piano salva-casa”.

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