Antonio Scurati
Anche per me è giunta l’ora delle decisioni irrevocabili, mi accodo al treno di quanti osano criticare Antonio Scurati. Faccio appello a tutto il mio ardimento e affronto il rischio di essere intruppato nel girone infernale di coloro che lo scrittore, con scarso talento peri neologismi, definisce «giornalsquadristi». Sono i pericoli del mestiere, mi rimetto al giudizio del mio bersaglio: se mi assolverà, mi farà un piacere, se mi condannerà, mi farà un onore. Temo tuttavia che il verdetto fatale sia scontato; neppure gli antifascisti amano le critiche, fedeli al motto ducesco che chi non è con noi è contro di noi.
Scelgo di morire in piedi e affronto la sorte a petto nudo, consapevole che come vivere è la lotta, il rischio, la tenacia, così lo è anche scrivere. Non intendo prendermela con il monologo ideato per il 25 aprile, nel quale il letterato, facendosi scudo con il delitto Matteotti e la strage delle Fosse Ardeatine, sostiene che l’Italia rischia il ritorno del fascismo in quanto Giorgia Meloni non si è detta antifascista nel modo che garberebbe a lui. D’altronde, a furia di raccontare Mussolini, Scurati si sarà contagiato e ormai ragiona solo in termini di ofascismo o antifascismo; questo dal duce lo ha imparato bene.
La parte più fastidiosa del suo ragionamento non penso sia il sillogismo a pera; ritengo legittimo che un intellettuale sia fazioso e ci tenga a dimostrarlo. Mi scandalizza piuttosto che egli rimproveri alla destra di voler riscrivere la storia, come se il mestiere dello storico fosse un privilegio solo suo e della sinistra, mentre reputo che anche la destra abbia diritto a raccontare e raccontarsi.
Oggetto della mia critica è invece l’ode al campo da tennis di Ravello nella quale Scurati si è cimentato nelle pagine della cultura del quotidiano La Stampa di ieri. Che dire? Il Carducci avrebbe fatto di meglio, il poeta traeva maggiore ispirazione dai luoghi natii. Il censurato invece... ci fa sapere di essersi rifugiato anche lui in montagna, come i partigiani di ottant’anni fa; solo, in cerca di relax, non della pugna, con vista mare sulla splendida costiera amalfitana.
Laddove si staglia «in uno di quei vuoti architettonici nel pieno centro degli antichi borghi dove la comunità si riconosce tale, l’esistenza sosta e la munificenza dell’ozio trionfa sulla meschinità degli affanni» (delle lotte politiche e delle comparsate in tv) ciò che «a un inganno prospettico» può sembrare una piazza ma quando «svanito il trasporto sentimentale si guarda con maggiore attenzione...» «...sorprendente: perché non è una piazza, è un campo da tennis». Bisogna porsi delle mete per avere il coraggio di raggiungerle e l’ora con la racchetta in mano è più alla portata di far cadere un governo a colpi di comizi.
Però si avverte odore di fregatura. Ma come? Meno di dieci giorni fa lo scrittore militante arringava le folle, invitava tutti a «restare uniti per contrastare la violenza fascista» e finito il ponte delle feste ha già mollato tutti alla ricerca di una salvezza personale. Va bene che, dal palco, aveva precisato di «non essere un eroe», ma qualcuno gli aveva creduto sotto la pioggia e ora è lì, fradicio e disilluso, scaricato per il Ravello Tennis Club. Un circolo peraltro che a Scurati pone un problema non da poco. Il luogo del cuore dello scrittore antifascista infatti è stato fortissimamente voluto negli anni Trenta dal segretario del Partito Nazionale Fascista, Augusto Turati, per fortificare la camicia nera e rinvigorirla anche nei paesini di tremila anime, e il regime ci teneva al punto da organizzarvi, per lanciarlo, una sfida tra la nazionale italiana e quella francese.
L’intellettuale però dribbla il problema, spiegando che poi ci fu guerra e, per colpa del fascismo, il campo per vent’anni andò incontro a «un disastroso declino». Proprio così, che sciagura un rettangolo da tennis inutilizzato; anche questa rientra tra le nefandezze di Mussolini che la Meloni deve condannare pubblicamente; meglio se a ogni apertura degli Internazionali di Roma.
A proposito, non sarà che, censurato dalla tv pubblica come diffamatore del governo, lo scrittore vuole rientrarvi come telecronista di tennis e coglie la pallina al balzo?
Domani iniziano le due settimane del torneo capitolino e chi si ferma è perduto.
Le mie parole vengono dopo i fatti e non mi spiego altrimenti il letterario divagare e rimembrare dell’autore di quando «buttavo la palla di là e, semi metti sotto rete, qualche volée la piazzo pure adesso» ahi il narcisismo, anima nera di ogni intellettuale -, in un momento così drammatico perla democrazia, nel quale il monologatore dovrebbe dedicarsi a ben altro.
La rivoluzione non russa, dicevano una volta i compagni; oggigli idoli dei rivoluzionari si commuovono davanti a un campo da tennis, «luogo di quiete non nel mezzo ma attorno a una battaglia»; definizione d’autore in cerca di pace, dimentico che la poltrona e le pantofole sono la rovina dell’uomo e bisognoso di riprendere vigore perché rinunziare alla lotta significa rinunziare alla vita.
Ributto un occhio sul pregiato pezzo del biografo di Mussolini e, parafrasando, concludo che oggileggere Scurati, benché censurato, è un po’ come governare gli italiani: non è impossibile, è inutile. Mi daranno del fascista, ma meglio un articolo contro di lei piuttosto che uno a favore di un campo di tennis, anzi meglio un giorno da leone che cento da pecora. Ma poi, illustre Scurati - non mi permetto il “caro” perché immagino la contrarierebbe -, anche se non la conosco il mio intuito mi dice che lei è un uomo visibilmente empatico e ironico: confido che ai miei ragionamenti risponda dentro di sé con un perentorio me ne frego.
Quanto a me, il pezzo mi è stato commissionato e io sono tipo da credere, obbedire, combattere. Per omaggiarla, ho pensato di rimpinzare il mio pensiero con qualche massima dell’uomo contro il quale lei fa i soldi. E stavolta la citazione è sua. Le avrà riconosciute, sono le frasi in corsivo.
Personalmente, la preferisco sul palco piuttosto che sugli spalti di Ravello, ad arringare la sinistra, che è minoranza ma deve reagire, perché chi tiene duro, dura e quando mancasse il consenso c’è la forza; questa non è sua, ma dato il clima che l’opposizione avvelena sistematicamente ci sta benissimo. Coraggio Scurati, lasci gli ozi amalfitani e ai progressisti da circolino gridi boia chi molla...