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Il romanzo di Serena Bortone campione di banalità

di Luca Beatrice giovedì 25 aprile 2024

4' di lettura

Massì, va a finire che prima o poi lo faccio anche io. Scriverò il mio primo romanzo, anzi bildungsroman che vuol dire romanzo di formazione, ambientato ai tempi verdi tra adolescenza e gioventù, con storie un po’ vere e un po’ inventate, che in buona sostanza sono una giacchetta di fatti miei non così interessanti e diversi da quelli degli altri, tra anni ‘70 e‘80. Lo chiamano autofiction e spopola là dove non è richiesto un gran gusto. Solo che nella mia storia non ci sono particolari elementi di sofferenza, a parte le finali perse di Coppa dei Campioni. A me e ai miei amici piacevano le ragazze, qualche volta ci andava bene, altre male. L’identità sessuale ci era piuttosto chiara, soprattutto in termini di arrapamento, però evitavamo di metterci con le tipe degli altri, anche se talora è successo.

L’avere qualche anno in più di Serena Bortone se dal punto di vista anagrafico è penalizzante, quando si parla di riferimenti culturali quelli della mia generazione non si limitavano anche da giovanissimi all’analisi dei sentimenti, i rapporti non erano fondati solo sulle reciproche confidenze intime, sull’agognare esasperato della prima volta. C’erano anche i libri, i film, il teatro, le passioni, lo sport, la politica sì profondamente divisiva ma palestra di vita da entrambe le parti, era impensabile passare tutto il tempo a discutere dei chili in sovrappeso o di cosa mettersi alla festa, saresti sembrato mezzo scemo, superficiale, vuoto. Ma oggi si giudica tutto sotto la lente della banalità. Un giovane affronta un testo di 300 pagine solo se scorrevole, facile, se non fa fatica e soprattutto se ci ritrova qualcosa di se stesso, per questo ci vuole furbizia a confezionare un prodotto editoriale e ci sono degli esperti che te lo mettono giù dalla prima all’ultima pagina e al personaggio noto basta apporre la firma. Poiché la televisione è il luogo della semplificazione massima, autori e presentatori aspirano al libro perché non c’è niente da fare, questo vetusto oggetto di carta è ancora lui ad attribuire valore e sostanza a chi ne ha poca, qualcosa che resta, occupa uno spazio fisico con buona pace dei social.

Una sfida che intriga molti e oggi tocca a Serena Bortone bagnare l’esordio letterario con A te vicino così dolce (Rizzoli), romanzo simil autobiografico che sta avendo presentazioni molto lusinghiere perché a tutti piace andare in tv e se ne parli bene lei magari ti invita a Che sarà, dove sono stato anche io qualche tempo fa ma non ho parlato molto perché troppo destro. Ora poi dopo il caso Scurati c’è la coda, sperando in qualche attacco censorio per ulteriori martirii.Il romanzo è l’autoritratto dell’io narrante, Serena anni 17, Roma nord, media borghesia, cicciotella (è lei a dirlo, eh), e della sua amica del cuore Vittoria che a un certo punto incontra Paolo, ci si fidanza anche se il tipo è strano, a comincia re dal fatto che guida una Maserati anche se per quel le auto ci vogliono anni di patente. Il tipo, molto gentile e galante, ha una doppia personalità, delle turbe e infatti va in cura a Firenze (perché non a Roma?) e allora Serena per capirci di più che fa? Consulta Freud

FLUIDITÀ Ne ho lette 120 pagine circa e non dovrei spoilerare la trama come si dice ora però siccome non sono sicuro di andare avanti e perché non resisto alla tentazione devo proprio dirlo: Paolo in realtà è Paola, ovvero una donna ma più probabilmente una persona non binaria come si dice adesso mentre negli anni ‘80 il termine era del tutto sconosciuto. Mi chiedo, ma se due giovani fanno sesso come fanno a non accorgersi cosa uno tiene nelle mutande? La storia ha davvero dell’inverosimile e dato che non siamo in un fantasy il trucco sembra fatto apposta per adattarsi alla nostra fluida e sciocchina contemporaneità.

NON-SCRITTRICE C’è poi il tema della scrittura perché l’editor può fino a un certo punto. Chi non ha tale dono, o semplicemente non abbastanza esperienza, si accontenta di frasi molto brevi come da post social. Non richiede particolare impegno o concentrazione però lo stile risulta smozzicato, non proprio suadente né coinvolgente, insomma un libro scritto da un non-scrittore come ce ne sono tanti, influencer, cuochi, sportivi, estetiste, soggetti tipici della categoria varia che però con il romanzo ha poco a che fare.  Altro tic, quello delle citazioni per offrire un’ambientazione credibile nei fantastici anni ‘80 dove eravamo proiettati al senso del nuovo e difficilmente ci saremmo sognati di ripescare Mezzogiorno di fuoco o i film con Rock Hudson anche se poveraccio era morto di Aids. La giovane Serena non ama i Queen, ma definirli esteticamente irrilevanti ci sembra una bestemmia, poi vede Freddie Mercury a Londra e il giudizio cambia. Certo, per chi ha gli Spandau Ballet come modello... Perla delle perle. Qualcuno scrive sul muro “froci al rogo”. E sotto una croce celtica. Il solito fascio di merda. Mi sa che Scurati aveva ragione. 

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