Il campo largo a destra può allargarsi alle riforme
Il campo largo? Non è affatto morto, né s’è trasformato- nel senso del fu Enrico Letta- in Campo d’Agramante o, peggio, in camposanto. Il campo largo va fortissimo. Solo che ora sta a centrodestra. Cioè: Renzi e Calenda, alleati del vincitore Vito Bardi, in realtà sono di destra. Ma forse questa non è una notizia. La sonnacchiosa Potenza ancora vibra degli entusiasmi della riconferma a mani basse di Bardi alla Regione che qui, nella sede storica, sfilando sotto il busto dell’italianista democristianissimo Vincenzo Verrastro primo Presidente lucano - un Calamandrei locale - ora si palesa lo spettro dell’inedita alleanza.
Bardi, con timido sorriso accanto alla silente ministra e coordinatrice regionale di Forza Italia Elisabetta Casellati, fa notare che il suo “campo larghissimo” è la vera notizia del giorno. E ha ragione. «Gli accordi di coalizione ovviamente sono stati decisi a livello nazionale attraverso Antonio Tajani in modo lungimirante; e ha vinto il buon senso e la passione per la Basilicata», mi spiega lui. Gli faccio notare che - sì, d’accordo la passione e il senso civico e l’orgoglio di territorio- ma, insomma, dietro il suo fragoroso successo s’intravede senza dubbio il suo ex eterno avversario, l’ex governatore Maurizio Marcello Claudio Pittella, “mister 7.000 preferenze”. Cioè l’uomo più votato, l’ex mammasantissima dem il quale, trombato dai suoi e passato dall’altra parte della barricata che neanche Clemente Mastella ai suoi tempi; be’, s’è ingollato il suo piattone di vendetta servito freddo contro il Pd, portando sotto il gonfalone di Azione un nutrito patrimonio elettorale. Pittella è un acrobata della preferenza unica. Certo, magari il fratello Gianni, altro recordman di voti, già vicepresidente del Parlamento Ue e oggi sindaco di Lauria da ex socialista radicale, non ha gradito il suo riposizionamento. Ma tant’è. I suoi fan gli lasciano presagire un ruolo di primo piano nella Giunta, oppure l’incarico onorevole di presidente del Consiglio regionale.
A parlare di “effetto Pittella” è la sola volta che Bardi lascia incrinare il sorriso: «Guardi, mo’ tutti notano che Calenda ha appoggiato Pittella (forse è l’ex governatore Pd appoggiare Calenda, ndr)» mi fa il neogovernatore «però qui contano i programmi, non i nomi. E i primi punti del programma comune a tutti gli alleati sono due: la riforma della Sanità e le infrastrutture». E qui si legge in controluce tutta l’operatività di Bardi, dalla messa a terra del progetto dell’alta velocità per impedire l’«isolamento territoriale della Lucania» al ritorno dei «bonus gas» che hanno permesso, grazie alle royalties pagate dalle compagnie petrolifere per estrarre idrocarburi nel «Texas d’Italia» del territorio di Viggiano e oltre, di azzerare le bollette del gas degli utenti. Cose solide, riverberate al massimo nella campagna elettorale seguita dalla milanese Vis Factor. E, a supporto del tutto, subito gli stretti collaboratori del generalissimo mi srotolano un papellone con l’analisi definitiva dei dati elettorali. Dunque. Ci sono i 14 punti di distacco tra Bardi 56,6% di preferenze e l’avversario di centrosinistra Marrese 42,1%, e i 28mila voti in più rispetto al 2019; c’è il centrodestra che passa dal 34% al 40%, e Fratelli d’Italia che cresce dal 6% al 17%, e Forza Italia dal 9% al 13%, e la Lega dal 19,1% al 7%. Eppoi ecco avanzare le truppe d’appoggio. Ecco l’«apporto significativo» di Azione col 7,5% e Udc 2,4%, oltre alla lista civica Orgoglio lucano (Matteo Renzi sotto falso nome) 7,9% a cui s’aggiunge il 2% de La vera Basilicata. Insomma. Successo inconfutabile della cosiddetta «coalizione allargata» che porta 4 seggi a Fratelli d’Italia, 3 Forza Italia, 2 Lega (vigile e caparbia, seppur in affanno nel suo ridimensionamento), 2 Azione e 1 a Renzi. C’è la rappresentanza femminile da 1 a 3 eletti, che si può intendere, a seconda dell’ottica, come un rispetto delle quote rosa, o come un primo passo contro il “patriarcato meridionalista”.
Infine, per completare il quadro dell’opposizione, ecco i 2 seggi al Pd (13,8%), 2 all’immancabile Chiorazzo di Basilicata Casa comune il candidato perfetto fatto fuori da Conte, 2 ai Cinquestelle (bene nel disastro: reggono col il 7,6%). Insomma. Inutile girarci attorno: è boom lucano del centro. Lo conferma anche l’attento lavorio di trasbordatore di voti di Mario Polese, avvocato 42enne, consigliere regionale uscente, ex Pd poi passato con Italia viva, attivissimo nello stabilizzare i precari sanitari durante il Covid. Anche in questo caso, le preferenze rastrellate sul territorio sono andate oltre le più rosee previsioni: 18 mila, nonostante abbia votato meno di un elettore su 2, totalizzando il 7,9%. Ora, fermo restando che le elezioni di territorio sono sempre personalizzate, si basano sulle stature dei candidati locali; e fermo restando che l’operazione di marketing elettorale del “trittico del campo largo” della Schlein e Conte (elezioni sarde, abruzzesi e lucane) ha funzionato soltanto a Cagliari e s’è ribaltata contro il centrosinistra; be’ resta la domanda ferale. Fino a dove può spingersi il nuovo “campo larghissimo” di centrodestra, il rassemblement che sembrava impossibile in chiave di proiezione nazionale? Mario Sechi scrive nel suo editoriale che «in Parlamento servono convergenze in particolare sulle riforme istituzionali, il fisco, le sfide con l’Europa». Le convergenze democratiche sono il respiro di un Paese civile, dicevano i nostri Padri costituenti. Ma forse, dati i precedenti, meno se parla meglio è. Viva Verdi, viva Bardi...