C’è voluta una commissione, uno studio su 9mila casi di disforia e un rapporto puntuale, perché la Gran Bretagna si risvegliasse per davvero e si rendesse conto che il finto risveglio di cui è vittima, quello comunemente noto come “woke”, è una dannosa ideologia, foriera di divisioni, una sorte di veleno che intossica i rapporti umani, i nostri figli e il futuro dell'umanità. In pratica tale rapporto, redatto da uno dei massimi pediatri del Regno Unito, la dottoressa Hilary Cass, già direttrice del Royal College of Paediatrics and Child Health, ha tolto il velo su quello che si profila come uno degli scandali più notevoli riguardanti il sistema sanitario nazionale d’oltremanica (NHS), demolendo la base su cui si fonda l'attuale modello di trattamento dei bambini con problemi di identità di genere. Un modello che per la verità, come si denuncia chiaramente dalle pagine dello stesso, non esiste, o meglio si fonda su «una mancanza di ricerca di alta qualità», in relazione, in particolare, agli effetti della somministrazione ai bambini di bloccanti della pubertà e ormoni.
PROCEDURE INSENSATE
Le linee guida seguite per curare i bambini con tali presunti problemi, che sono perlopiù quelle dettate dal World Professional Association of Transgender Healthcare (WPATH), «mancano di rigore evolutivo», secondo quanto stabilito tra gli altri dall’Università di York. Sono carta straccia insomma, senza valore scientifico nel vero senso termine, sperimentate su migliaia di giovani inglesi vittime di medici senza scrupoli ma soprattutto di una visione fortemente ideologica. La dottoressa Cass racconta tra le altre cose di aver parlato con «persone che hanno effettuato la detransizione», sorta di pentiti che sono tornati al genere di origine. E racconta di come molti di loro «si sono sentiti spaventati dall’assenza di indirizzi», «dalla mancanza di ricerca e di quanto tutto il dibattito in materia sia polarizzato». E di come tali persone siano state velocemente indirizzate ai Gids (“Gender identity evelopment service”), senza approfondimenti psicologici e senza tante cerimonie. «Per la maggior parte dei giovani» con disturbi di identità di genere, spiega la dottoressa, «un percorso medico non è il modo migliore di gestire il disagio. E nei casi in cui invece un percorso medico è clinicamente indicato non basta fornirlo senza affrontare anche problemi più ampi di salute mentale o psico-sociali».
Eppure questo non succede quasi mai. Il rapporto sostiene tra l’altro che le lunghe liste d'attesa nel sistema sanitario nazionale hanno spinto i bambini confusi tra le braccia delle cliniche private dalle dubbie competenze, non regolamentate e spesso nemmeno riconosciute. Complici di tale abominio sono i medici di base messi «sotto pressione al fine di prescrivere soluzioni emesse da servizi con sede all’estero». Nessun medico di base dovrebbe essere tenuto a «stipulare un accordo di assistenza condivisa con un fornitore privato», sottolinea la Cass.
La dottoressa sottolinea l’eccezionale “tossicità del dibattito”, con una polarizzazione mai vista prima in ambito scientifico tale da inficiare il lavoro stesso dei medici che non sono più liberi di esprimere una propria opinione: «Sono stata criticata per aver coinvolto gruppi e individui che adottano un approccio di giustizia sociale e sostengono l'affermazione di genere, e sono stata ugualmente criticata per aver coinvolto gruppi e individui che esortano a una maggiore cautela» ha detto la Cass. Eppure più le evidenze scientifiche sono deboli più i risultati degli studi sono esagerati o travisati.
«Ci sono poche altre aree dell'assistenza sanitaria in cui i professionisti hanno così paura di discutere apertamente le loro opinioni» sostiene la pediatra «in cui le persone vengono diffamate.