Non c’è alcun dubbio: il tema politico principale di questo weekend – che Libero vi ha anticipato da almeno due giorni è il passaggio della sfida politica tra Cinquestelle e Pd da una tutto sommato normale spigolosità a una dimensione di puro e spietatissimo cannibalismo.
Viene da sorridere se ripensiamo al tono della campagna elettorale in Abruzzo, appena qualche settimana fa, quando Schlein e Conte, allora simili ai fidanzatini di Peynet, promettevano d’amore e d’accordo nientemeno che la spallata al governo, la caduta dell’esecutivo, il trionfo prossimo venturo del loro campo largo. E invece sta finendo a pesci in faccia ovunque, dalla Puglia al Piemonte, con la fredda scelta pentastellata di lucrare sulle disgrazie giudiziarie che stanno travolgendo idem, senza nemmeno il buongusto di uscire dalle giunte in cui pure loro bivaccano.
Ma – dietro questo racconto in primo piano – ce n’è un altro, decisamente meno sexy per il cittadino comune, e per alcuni versi perfino impopolare. E quindi a maggior ragione occorre porre il tema sperando che si apra una riflessione adeguata, non scontata, non timida.
CHI HA IL PACCHETTO PIÙ GROSSO
Di che si tratta? Di quanto il sistema elettorale proporzionale accompagnato dalle preferenze sia spesso lo strumento attraverso il quale si realizzano comportamenti opachi (o addirittura criminosi), drogando di denaro le campagne elettorali anche individuali di ogni singolo candidato, selezionando e in ultima analisi premiando i soggetti più spregiudicati e traffichini, regalando – specie in tempi di affluenza bassa – ai portatori di pacchetti di voti un potere enorme.
Intendiamoci bene. È stata ed è ancora una disgrazia – da troppi anni – l’adozione di sistemi elettorali largamente caratterizzati (specie a livello nazionale) dalle liste bloccate: metodo che conduce a nomine, altro che elezioni, e che crea un vassallaggio medievale tra il leader e i candidati del suo partito. Di fatto, il leader (che già gode dei fondi nazionali e del potere mediatico) acquisisce un potere di vita e di morte sugli altri membri del suo partito. Ma – per converso – non è una buona idea reagire a quella situazione spiacevolissima tenendo in vita (come accade a diversi livelli territoriali) sistemi in cui la caccia selvaggia alla preferenza diventa l’alfa e l’omega, l’orizzonte unico della campagna elettorale. Altro che voto di opinione, a quel punto.
Tranne eccezioni più rare di un quadrifoglio, le persone dotate di una qualche reputazione (a livello comunale, regionale ecc) tenderanno a farsi da parte, a non voler o a non poter competere, mentre il campo sarà sistematicamente occupato da sconosciuti “mister e miss preferenze”, che amano intonare giaculatorie sul mitico “rapporto con il territorio”, ma che poi – c’è da temere: in non pochi casi – sono soprattutto esperti nella creazione di reti clientelari, non di rado ai confini della legalità.
LA SOLUZIONE
Come se ne esce? A mio personale avviso, in primo luogo senza moralismi, senza giustizialismi, senza darla vinta ai mozzaorecchi, questo è chiaro. Ma in secondo luogo, contro il doppio scempio delle liste bloccate e dei cacciatori di preferenze, mi sembrerebbe prudente rilanciare ovunque possibile – tendenzialmente per ogni tipo di elezione – il modello dei sistemi maggioritari basati su collegi uninominali, possibilmente di dimensione non enorme (l’ideale sarebbe di 80-90mila elettori ciascuno).
Attraverso l’elemento maggioritario, si consoliderebbe e si incoraggerebbe la spinta bipolare (due schieramenti: chi vince governa, chi perde si oppone); attraverso i collegi uninominali, si costringerebbero i partiti a presentare persone note, stimate, effettivamente legate a ciascuno specifico luogo, chiamate a competere per ottenere il 50% più uno dei voti, e non solo un pacchetto di suffragi personali. Di più: in una dimensione territoriale limitata (evocavo la dimensione degli 80-90mila elettori), non occorrerebbero mezzi economici smisurati per far conoscere la propria candidatura, e dunque non si porrebbe il tema della esplosione delle spese elettorali individuali.
Peraltro, un sistema elettorale di questo tipo (maggioritario e basato su collegi uninominali) sarebbe il pendant perfetto di una riforma istituzionale basata sul rafforzamento del premierato. L’obiettivo dovrebbe essere quello di scegliere in un colpo solo il premier, la maggioranza e il parlamentare del proprio territorio. E qualcosa del genere – mutatis mutandis – dovrebbe accadere anche a livello regionale e comunale. Sarebbe saggio bonificare le paludi in cui altrimenti resterà indisturbata una fauna politica in troppi casi tutt’altro che rassicurante, come constatiamo in queste cupe giornate.