Per gentile concessione dell’autore e dell’editore Rizzoli, pubblichiamo un estratto del saggio «Dio abita in Toscana». Antonio Socci ci accompagna in un viaggio alla scoperta di un luogo magico abitato da mistici, poeti, pensatori, mercanti, artisti, banchieri, artigiani e contadini: quei «maledetti toscani» così rissosi, ma tutti, santi e peccatori, con la stessa fede (e lo stesso stupore) di fronte a Dio che si è fatto carne ed è «venuto ad abitare in mezzo a noi». Di seguito il capitolo «Li tuoi capelli di sangue intrecciati».
Si dovrebbe ascoltarla contemplando la Pietà michelangiolesca: «Voi ch’amate lo Criatore/ ponete mente a lo meo dolore. / Ch’io son Maria, co’ lo cor tristo/ la quale avea per figliuol Cristo:/ la speme mia et dolce acquisto/ fue crocifisso per li peccatori./ Capo bello et delicato/ come ti veggio stare enchinato;/ li tuoi capelli di sangue intrecciati,/ fin a la barba ne va irrigore./ Bocca bella e delicata,/ come ti veggio stare asserrata,/ di fiele e aceto fosti abbeverata,/ Trista e dolente dentr’al mio core./ Voi ch’amate lo Criatore/ ponete mente a lo meo dolore». Commuove questo strazio materno per la bellezza massacrata di Gesù («Capo bello e delicato/come ti veggio stare enchinato;»), lo sguardo di Maria sui suoi capelli intrisi di sangue colato su tutto il viso («li tuoi capelli di sangue intrecciati,/fin a la barba ne va irrigore»), lo scoramento per le sue labbra gelate («Bocca bella e delicata,/come ti veggio stare asserrata,/di fiele e aceto fosti abbeverata»).
SPIRITO E MATERIA
La rappresentazione di Gesù, della sua nascita, della sua vita e della sua passione, dicevamo, è dovunque, in Toscana. Questo bisogno di vederlo, sia pure in immagine, arriva dai primi tempi cristiani, echeggia e amplifica nei secoli lo stupore incontenibile di Giovanni, che scriveva: «Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi [...]». (1Gv 1, 1-3) D’altra parte se Dio ha voluto salvarci proprio assumendo la nostra carne umana, significa che la nostra stessa salvezza passa letteralmente dal suo corpo, dalla sua presenza, dai suoi gesti, dai fori delle sue mani e dei suoi piedi, dal suo costato squarciato, dalla sua testa torturata dalle spine, dalle innumerevoli piaghe della sua carne e infine dal suo corpo risorto e diventato sacramento che inizia la nostra divinizzazione.
Ricordo un pensiero del filosofo Slavoj Žižek: L’amore ha bisogno di corpi. Essere nudi è un’esperienza spirituale. Lo aveva capito Tarkovskij. Nel film Stalker, il suo più bello, i ricordi sono accompagnati da acqua, vento e pioggia e questo perché la spiritualità è sempre materiale. È il miracolo stesso del cristianesimo: Gesù Cristo è un essere umano, è corpo. Dio non è altrove, è tra noi. Tralasciando, qui, il riferimento a Tarkovskij su cui tornerò perché «fiorentino» adottivo e così legato all’arte rinascimentale, è vera l’intuizione di Žižek e sembra descrivere secoli di arte fiorentina e toscana, da Cimabue e Duccio a Giotto e Arnolfo di Cambio, da Simone Martini a Masaccio e Jacopo della Quercia, da Donatello e Brunelleschi a Piero della Francesca e Botticelli, dal Beato Angelico a Leonardo e Michelangelo. Tutti hanno mostrato che «Gesù Cristo è un essere umano, è corpo. Dio non è altrove, è tra noi». È il cuore del cristianesimo. Per questo La Pira proclamava che «i veri materialisti siamo noi cristiani». È inevitabile pensare che, mentre scriveva queste parole, egli avesse nella mente e negli occhi le meraviglie degli artisti di Firenze e della Toscana.
«Se c’è un’epoca,» scrive Tomaso Montanari «in cui il corpo è davvero tutto nella storia dell’arte, ebbene quell’epoca è il Rinascimento quando, potremmo dire, l’arte torna davvero a incarnarsi. “E il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.” Lo aveva annunciato Giovanni, all’inizio del suo Vangelo. Comunque la si pensi, in qualunque cosa si creda o non si creda, il Natale è la festa della nostra carne, cioè della nostra realtà, della nostra debolezza, della nostra fragilità. Si celebra il Dio lontano che viene a piantare la propria tenda fra gli uomini, che ne assume la carne e dunque ne condivide il destino. Il Dio che, umanizzandosi, divinizza l’uomo».
I NUDI DI MICHELANGELO
Per questo il corpo è una realtà spirituale, sacra, e ha senso ciò che afferma Žižek: «Essere nudi è un’esperienza spirituale». Come non pensare ai nudi di Michelangelo e a tutta quell’arte toscana che, da Nicola Pisano fino al Rinascimento, proprio per questo ha recuperato la capacità di rappresentazione del corpo umano della grande arte classica greco-romana? Il corpo umano rimanda- come insegnava il «fiorentino» Pico della Mirandola - alla grandezza della creazione e alla magnificenza dell’Incarnazione. Ben lo sapeva il più grande degli artisti fiorentini, quel Michelangelo che da ragazzo si è formato a San Marco, cuore dell’umanesimo, che ha studiato l’anatomia dei corpi morti al convento di Santo Spirito e che amava il Poema sacro dantesco come il libro della sua vita. Quel Michelangelo che – più di qualunque altro artista – nel marmo e nei colori ha celebrato e contemplato la gloriosa nudità del corpo umano, sacralizzato dall’Incarnazione (san Paolo insegna: «Glorificate Dio nel vostro corpo», 1Cor 6, 20), che ha reso sacra la dignità dell’uomo, la sua libertà, la sua vita.