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Giordano Tedoldi: Flaco, vita e morte del gufo-star che ha fatto impazzire New York

di Giordano Tedoldi domenica 25 febbraio 2024

3' di lettura

Una poesia di Emily Dickinson, sibillina come sempre, attacca: “Speranza è la cosa con le piume”. Chissà se i newyorchesi leggono molto Emily Dickinson, ma di certo avevano preso molto a benvolere Flaco, e a guardare speranzosi i suoi passaggi nel cielo della città.

Flaco – che in spagnolo significa magro, ma anche semplicemente tipo, ragazzo – era un bellissimo esemplare di gufo reale, dall’apertura alare di circa 180cm, che volava libero dalla notte del 2 febbraio dello scorso anno, quando un anonimo “vandalo” (ma forse un ecologista un po’ irresponsabile) l’aveva liberato dalla sua gabbia di acciaio inossidabile dov’era stato messo in mostra, nello zoo di Central Park, e dove aveva vissuto quasi tutta la sua vita. La polizia non ha ancora individuato il responsabile e le indagini continuano. Da oltre un anno, comunque, Flaco era diventato una sorta di mascotte della Grande Mela, con il sindaco Eric Adams che l’aveva definito, con un gioco di parole sul verbo fly, volare, che usato come aggettivo è un complimento, “one of New York’s flyest”, cioè uno dei più fichi della città. Venerdì notte la sua avventura è finita: urtato un edificio sulla 89esima strada ovest, è stramazzato al suolo. I residenti del palazzo hanno chiamato il Wild Bird Fund e il corpo del povero volatile è stato portato al Bronx Zoo, dove verrà effettuata la necroscopia per accertare la causa del decesso.

In cattività, i gufi reali possono vivere anche oltre 40 anni, e circa 20 nel loro habitat naturale. Questo mese, Flaco ne avrebbe compiuti 14. Fin dalla sua fortunosa liberazione, gli ornitologi avevano avvisato che la vita per Flaco sarebbe stata dura, e che il liberatore, lungi dall’essere un eroe della difesa degli animali, era uno sprovveduto (e oggi viene esplicitamente accusato di essere corresponsabile della morte del nobile pennuto). Le minacce per Flaco erano almeno tre: ingerire veleno per topi, giacché i roditori facevano parte della sua dieta; una collisione con un veicolo nel denso traffico newyorchese e, infine, quella che evidentemente si è rivelata fatale: l’urto contro un edificio, in particolare le finestre.

ISTINTO DI CONSERVAZIONE
Dunque, che Flaco abbia vissuto un anno è quasi miracoloso. Riusciva a evitare le macchine volteggiando perlopiù sopra tetti, torri idriche, e in generale sopra alte costruzioni: in questo, il suo istinto di conservazione non lo tradiva. Ma evitare le parti trasparenti o riflettenti dei grattacieli della città era molto più insidioso: basti pensare che, ogni anno, a New York muoiono 230mila uccelli sbattendo contro le finestre. Ed è per questo che, fin dalla sua liberazione, i membri della National Audubon Society, una delle più antiche organizzazioni no-profit per la conservazione della natura al mondo, con sede a New York, hanno provato a riprenderlo, ma senza successo, e alla fine, anche di fronte alla volontà popolare che propendeva per tenerlo libero, hanno lasciato perdere.

Uno dei primi avvistamenti di Flaco a zonzo fu nientemeno che su un marciapiede della Quinta Strada, proprio la notte della sua evasione. Quando i curiosi hanno cominciato a infoltirsi e un poliziotto si domandava come avrebbe potuto aiutarlo, Flaco, infastidito, è volato via. E così, amanti degli uccelli (i cosiddetti birdwatchers) e popolazione varia hanno cominciato a seguirne le gesta, e ovviamente a fotografarlo appollaiato ora qui ora lì, e a considerarlo una sorta di divinità minore, di portafortuna, di buon presagio. Ora tutti quelli che l’hanno seguito, fotografato, commentato, e chissà, gli hanno rivolto auspici, pensieri, speranze, o hanno visto in lui un simbolo di libertà selvatica, un grido di natura nel cuore della metropoli più avanzata dell’Occidente, sono avviliti e costernati.

GIUNGLA D’ASFALTO
E un po’ il lutto lo sentiamo anche noi che siamo oltreoceano, e vi partecipiamo. Non senza però nasconderci l’ingenuità, il fanatico, disastroso candore con cui i cittadini di New York hanno creduto e sperato che, nella loro giungla d’asfalto e di pareti vertiginose, di luci violente e di chiasso instancabile, un gufo reale, animale notturno, schivo, misterioso, potesse durare più di quanto, eroicamente, è sopravvissuto. Conosciamo il vecchio dilemma: nello zoo gli animali fanno immancabilmente tristezza, anzi dolore; e quando ne sfuggono poi, a meno di trovare per loro habitat particolarmente favorevoli, nelle insidie delle città sono condannati. Il destino di Flaco era segnato, e la speranza dei newyorchesi è stato solo un fragile, cinico sogno.

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