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Capezzone: primarie all'americana per un centrodestra unito

di Daniele Capezzone sabato 24 febbraio 2024

4' di lettura

Fossimo nei panni dei dirigenti del centrosinistra, leggeremmo con attenzione l’intervista che ieri Arturo Parisi ha rilasciato a Fabio Martini re da un’alleanza occasionale ed episodica, concepita solo “contro le destre” (come in Sardegna), e desiderano invece tentare un’operazione politica più seria. Serve un metodo che di per sé prefiguri una prospettiva, uno sbocco, una convivenza ordinata: e Parisi rilancia l’idea delle primarie. Sono convinto da anni che anche a destra un ragionamento del genere avrebbe senso. Intendiamoci: il centrodestra una coalizione ce l’ha dal 1994, governa oggi a Roma e in 16 regioni, e dunque non è assolutamente nella condizione caotica degli avversari. Ma chiunque abbia sensibilità politica capisce che il momento è delicato: tra i tre partiti della coalizione le frizioni non mancano, e non sarà semplice, né prima né dopo le Europee, trovare un modo di comporre le differenze che sia accettato da tutti, compatibile con il peso elettorale di ciascuno, e al tempo stesso rispettoso di ogni componente.

Chi scrive è un vecchio fan di una prospettiva (mettiamoci subito il cuore in pace) che agli attuali dirigenti del centrodestra non piace: quella di un unico Partito Repubblicano all’americana, o di un unico Partito Conservatore come in Gran Bretagna, dove ogni sensibilità possa convivere e competere. Ma oggi non è nemmeno il caso di parlarne: ci sono tre partiti orgogliosamente distinti. I quali però devono coesistere e “pesarsi”, ed evitare che la logica iperproporzionalista delle europee avveleni la quotidianità e in ultima analisi danneggi l’azione di governo. Come se ne esce? Partendo da una caratteristica degli elettori di centrodestra. Essi, pur così diversificati per estrazione culturale e sociale, sono già largamente uniti: possono preferire uno specifico partito, ma hanno simpatia (e certamente nessuna ostilità preconcetta) verso gli altri; hanno visioni non solo compatibili ma basate su valori comuni (difesa della libertà, della proprietà, dell’iniziativa privata ecc.). Si tratta di essere uniti su un paio di cose: un nucleo programmatico essenziale e il candidato alla guida della coalizione ogni quattro -cinque anni.

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Su tutto il resto, ciascuno si tenga le proprie idee e convinzioni: più libere. Le divisioni, le differenze, le diversità si gestiscono così: non negandole e nemmeno esaltandole in modo fazioso, ma riconoscendole, garantendo spazio a ciascuna nuance e sfumatura. Un passo in più potrebbe essere quello - a ogni livello: comunale, regionale, e poi nazionale alla vigilia delle prossime politiche- di prevedere elezioni primarie per scegliere il candidato alla guida dello schieramento.

NO AL METODO PD

Se fosse per i miei gusti, sconsiglierei di adottare il metodo seguito in passato dal Pd, che peraltro ha creato dubbi sull’identità dei partecipanti al voto, e che – nella migliore delle ipotesi – si è limitato a “fotografare” la forza di partiti e componenti, per favorire le spartizioni interne e l’assegnazione di cariche e incarichi. Il fatto è che il Pd italiano non ha mai adottato il modello delle primarie statunitensi, ma si è limitato a una consultazione in un unico giorno, che fatalmente porta con sé la mera ratifica del quadro già esistente. Un modo come un altro per appiccicare un sigillo popolare a decisioni già assunte in altra sede. Una ratifica. Una messa di incoronazione. Al centrodestra proporrei invece l’adozione vera del modello americano, con elezioni primarie sequenziali (cioè a tappe, territorio per territorio), con un processo politico (e un dibattito nel Paese) che dura mesi, e una convention finale che prende atto del risultato e lancia la campagna elettorale vera e propria.

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La metafora più adatta sarebbe quella ciclistica: organizzare una sorta di Giro d’Italia, in cui si voti regione per regione. Se si facesse domenica dopo domenica, per coprire le venti regioni servirebbero cinque mesi; accorpando due regioni alla volta, basterebbero due mesi e mezzo. Quali sarebbero i vantaggi di un percorso simile? Intanto, non solo tutti gli elettori di centrodestra sarebbero coinvolti, ma anche tutti i territori, e ciascun candidato dovrebbe seriamente impegnarsi per parlare a tutta Italia. Non solo: non ricchire il proprio messaggio. Un eventuale outsider bravo e capace non sarebbe costretto a un ruolo inevitabilmente marginale, ma potrebbe far crescere il proprio peso, portare nella discussione nuovi temi e istanze utili a tutta la coalizione. Potrebbe esserci la vittoria finale del favorito della vigilia oppure una sorpresa: comunque, essendo stati tutti coinvolti, nessuno potrebbe chiamarsi fuori alla fine. E tutti si sentirebbero rappresentati dal “campione” scaturito da una simile competizione. Di più: adottando il modello della convention finale all’americana, il vincitore potrebbe scegliere un vice, un “numero due” con cui comporre il ticket per la campagna elettorale da condurre contro il centrosinistra: realistica mente, dando voce e volto a un’altra area culturale che faccia sentire pienamente coinvolti anche gli sconfitti della gara delle primarie.

Se invece ci si limita (com’è sempre avvenuto) a indicazioni in stanze chiuse, l’esito rischia di essere quello a cui assistiamo in queste settimane, nella spesso spigolosa con tesa tra Fratelli d’Italia e Lega: con nodi non sciolti che si aggroviglia no e tensioni partitiche che si scaricano sul governo. Molto meglio, a mio avviso, se la competizione per la guida di uno schieramento venisse resa ariosa, aperta, carica di prospettiva, di idee (e anche di umanità e di rispetto reciproco), aiutando i leader a con durre una trasparente campagna pubblica, capace di coinvolgere cittadini, militanti, intellettuali, categorie produttive, e indirizzando la lo ro sfida positiva verso l’esterno, cioè verso l’Italia, anziché verso l’interno, cioè verso un mero regola mento di conti nel perimetro della coalizione. Chissà: oggi è solo uno stimolo. Ma domani - a partire, una volta passate le Europee, dai successivi appuntamenti elettorali per città e regioni - potrebbe trattarsi del modo migliore per garantire tenuta e insieme elasticità della coalizione. È un piccolo uovo di Colombo, su cui speriamo che Fdi, Fi e Lega riflettano.

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