Il presidente ha abbattuto “il muro di Gorizia”, perché è da lì che in Italia passava la Guerra Fredda. Bene, era ora. È caduto 35 anni dopo quello di Berlino. Il discorso di Sergio Mattarella nel Giorno del Ricordo dell’esodo giuliano -dalmata, che è poi il genocidio degli italiani d’Istria, è un punto di partenza. La strada la aprì il comunista Giorgio Napolitano, nel 2007, parlando di pulizia etnica perpetrata dai partigiani titini e di piani d’annessione della Jugoslavia. Ne nacque un incidente diplomatico con la Slovenia e la Croazia, ma l’anno dopo il Quirinale non ritrattò. Ieri il capo dello Stato ha pronunciato parole inequivocabili: «La ferocia che si scatenò contro gli italiani non può essere derubricata alla voce, comunque ignobile, di atti di vendetta e giustizia sommaria contro i fascisti occupanti». E ancora: «La sola colpa degli infoibati, sacerdoti, intellettuali, semplici cittadini e persino partigiani antifascisti era quella di aspirare a un futuro di libertà e ostacolare l’annessione di quei territori sotto la dittatura comunista». E infine l’accusa «al muro di silenzio e oblio, un misto di imbarazzo, opportunismo politico e grave superficialità che si formò intorno alle sofferenze di migliaia di italiani massacrati nelle foibe».
Ascoltate dalla sede dell’Unione degli Istriani, a Trieste, le riflessioni presidenziali sono una carezza, un sollievo, ma non ancora la cura. Molta strada è stata fatta dalla politica. Pietra miliare è l’istituzione del Giorno del Ricordo, nel 2004, voluta fortissimamente dall’allora deputato di An, e oggi senatore di Fdi, Roberto Menia, figlio di un’esule. Molta ancora resta da fare. Il presidente ha cancellato l’oblio e ogni 10 febbraio con il suo intervento tiene vivo il ricordo.
È una tappa.
CEDUTA DAL PCI ALLA JUGOSLAVIA
Ci sono voluti sessant’anni perché il dramma degli istriani potesse essere raccontato agli altri italiani. I comunisti di Togliatti volevano che quelle terre andassero al compagno Tito e i democristiani acconsentirono. L’Istria fu oggetto di trattativa politica, una minoranza paga per tutti. Si fece finta, come denunciato da Mattarella, che fossero tutti fascisti, per caricare sulle loro spalle tutte le colpe del regime, tirare una riga e convincere il resto degli italiani ad accettare il destino degli istriani come una conseguenza naturale della storia. Non è andata così. Fu una strage, fu pulizia etnica dei croati e degli sloveni ai danni degli italiani, dopo che per cent’anni l’impero austro-ungarico continuò a mettere una comunità contro l’altra per controllare l’irredentismo tricolore. Morirono seicentomila italiani nella Prima Guerra Mondiale per quelle terre, e la Repubblica tradì loro e con loro i 350mila esuli istriani. Che poi, anche se qualcuno fosse stato fascista, non sarebbe stato questo un buon motivo per farlo morire nelle foibe o privarlo dei beni, perché tanti erano i fascisti nel 1947 in tutta Italia.
Ma cosa vogliono oggi i pochi esuli ancora in vita e i loro eredi? La battaglia per la conoscenza, almeno all’interno dei nostri confini, è a buon punto. Ormai sull’esodo trasmette fiction perfino la Rai, anche se con una riedizione macchiettistica della parlata locale. L’orizzonte, ora che le foibe non sono più solo una riga nei manuali di storia dei licei, è l’Europa. Quella istriana fu una tragedia internazionale. Tra poche settimane saranno settant’anni che Pola, Capodistria e le altre città sono state cedute all’allora Jugoslavia, per volere dei comunisti nostrani, per gli imbarazzi, le colpe e le complicità della Dc, ma anche per gli interessi degli inglesi nei Balcani e l’indifferenza degli Stati Uniti alle nostre sorti. Il problema è che la realpolitik non può cambiare la storia, può passarci sopra, ignorarla, ma non cancellarla, perché essa riemerge dal sangue della gente, quella sopravvissuta e quella trucidata. Non solo l’Italia, tutta l’Unione Europea, se mai nascerà davvero, deve sapere. La furia comunista di Tito non colpì solo l’Italia. Gli ungheresi in Slavonia ebbero la stessa sorte degli istriani ma il Parlamento di Belgrado, ormai Serbia, riconobbe le colpe del regime, eccidi e rapine, e risarcì, seppure simbolicamente, con pochi euro, i discendenti delle vittime. Da allora si voltò pagina e iniziò un processo di pacificazione tra le due comunità. Quando Zagabria e Lubiana faranno lo stesso con la comunità giuliano-dalmata? Quando la politica italiana comincerà a chiederlo, compatta, destra e sinistra, sarebbe la risposta.
L’ONORIFICENZA A TITO
Il guaio è che la nostra sinistra, democratica, pluralista, anti-autoritaria ancora difende l’onorificenza al maresciallo Tito, il macellaio Tito. Il boia delle foibe è a tutt’oggi Cavaliere di Gran Croce all’Ordine al Merito della Repubblica. Il suo nome è scritto nel registro del Quirinale, lo stesso palazzo, due stanze più in là, da dove Mattarella ieri ha parlato di «massacri, oblio, ambizioni comuniste di annessione». Gianni Cuperlo, parlamentare triestino del Pd, dice che va bene così, meglio non cambiare, potrebbe incidere sugli equilibri geopolitici. L’Austria però ha revocato ogni onorificenza al criminale, e non è accaduto nulla. E allora perché quando a sinistra parli di foibe e punti l’indice sulle colpe dei comunisti, al parlamentare medio sale il sangue alla testa, come se gli insultassi un famigliare? Non bastano le condanne espresse da Napolitano e Mattarella? Perché chi pretende dichiarazioni di antifascismo da chi ha già espresso condanne al regime e alle sue malefatte ancora difende i crimini comunisti, anche quelli commessi da stranieri contro italiani? A sinistra non capiscono che si può essere di destra senza essere fascisti forse perché loro non riescono a essere del Pd senza essere ancora comunisti. Questa è la sola risposta possibile. E allora all’Unione degli istriani, che già ha fatto tantissimo per ricordare il dramma dell’esodo e delle foibe, non resta che la missione più difficile: far capire ai nostri dem che conviene anche a loro tagliare i ponti con il loro passato ingombrante, che i martiri istriani sono di tutti, perché italiani e chi non lo riconosce si pone al fianco degli infoibatori. Ottant’anni dopo non è solo delinquenziale, è patologico, anche un po’ da deficienti.