Ha indossato la sua migliore faccia da bravo ragazzo, quella del rampollo dell’alta borghesia sabauda che conosce le buone maniere e non farebbe male a una mosca, e si è presentato al Quirinale. Obiettivo, sempre lo stesso: battere cassa per le aziende del gruppo. Ma con una variante non trascurabile: convincere Sergio Mattarella che il cattivo non è lui, ma Carlos Tavares.
È il cinico amministratore delegato portoghese di Stellantis a ricattare, a minacciare la chiusura degli stabilimenti in Italia, ad alzare la voce e a polemizzare col governo. John Elkann, invece, è quello che ha a cuore gli interessi del Paese e getta acqua sul fuoco. Come dimostrerebbe il fatto che non ha fatto una piega di fronte alle accuse di Giorgia Meloni a Repubblica, quotidiano controllato dalla sua Exor, e non ha mai messo nemmeno un dito del piede nelle polemiche esplose negli ultimi giorni sulla presunta fuga dal Paese della Fiat (ora Fca) e sullo strapotere francese in Stellantis. L’unica stringata dichiarazione di Elkann dopo giornate di scazzottate tra azienda, governo, maggioranza, opposizioni e sindacati ha riguardato la smentita, a cui manco gli investitori di Borsa hanno creduto più di tanto, che non c’è alcun progetto di fusione con Peugeot e le rassicurazioni al governo che il gruppo è intenzionato a proseguire l’interlocuzione positiva con il governo che sta avvenendo al tavolo dell’automotive istituito presso il Mimit di Adolfo Urso. Sede istituzionale, peraltro, dove si è ben guardato dal mettere piede.
EREDE DELL’IMPERO
Eppure è lui l’erede dell’impero Agnelli, il capo supremo di Exor, gruppo che sta facendo investimenti in ogni parte del mondo tranne che in Italia, che sta progressivamente spostando sedi legali, fiscali e quotazioni delle controllate all’estero, che possiede una quota quasi paritaria del pacchetto di capitale che governa Stellantis e che dovrebbe rappresentare e difendere gli interessi nazionali di una delle principali aziende manifatturiere del Paese. Il caso, o forse no, ha voluto che proprio un paio di giorni fa a Mirafiori, uno dei due impianti indicati da Tavares a rischio di chiusura se non arriveranno adeguati sostegni pubblici, sono scattati circa due mesi di cassa integrazione. Un segnale non proprio incoraggiante.
Ma la colpa è sempre sua, di quel diavolo di amministratore delegato. Mentre lui, il presidente di Stellantis, è salito sul Colle per ribadire l’impegno del gruppo per i progetti industriali avviati in Italia e per dimostrare che tutto il polverone alzato è frutto di un grande equivoco. Ad accoglierlo, in un incontro che era in realtà era programmato da tempo ma che è capitato a fagiolo, oltre al capo dello Stato c’erano il ministro dell'economia Giancarlo Giorgetti, l'ambasciatore Usa in Italia Jack Markell, il comandante generale dell'Arma dei Carabinieri Teo Luzi e il governatore di Bankitalia, Fabio Panetta. Insomma, roba di altissimo livello istituzionale. Riservatissimi, manco a dirlo, i contenuti dell’incontro. «Penso che gli incontri di Elkann siano stati un po’ per temperare le posizioni che Tavares aveva espresso e che avevano dato un segnale di forte rottura», osserva il deputato Pd ed ex ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Che è sicuramente, come dicevamo, una parte della missione del nipote di Gianni Agnelli, ieri nella veste del poliziotto buono. Ma la realtà è che oltre al tentativo di raffreddare gli animi, ieri Elkann è andato anche a caccia di una sponda pesante come quella del capo dello Stato per ottenere quello che probabilmente Tavares con le minacce non riuscirà ad avere: più soldi di quelli già messi sul tavolo dal governo.
INCENTIVI
Circa 1 miliardo di incentivi all’acquisto di veicoli non inquinanti che se Stellantis continua a tirare la corda potrebbero anche ridursi, vincolando il sostegno, come ventilato dal ministro Urso, ai soli veicoli prodotti in Italia, considerato che fino ad ora i soldi sono andati per la maggior parte a foraggiare la produzione di stabilimenti esteri. Ma le richieste di Tavares vanno ben oltre. Per non far cadere la mannaia sugli stabilimenti di Mirafiori e Pomigliano, le richieste avanzate dai rappresentanti del gruppo al tavolo del Mimit riguardano un pacchetto organico di sostegno alla diffusione dell’elettrico che comprende sussidi ad hoc, garanzie sulle colonnine di ricarica e sconti sulle forniture di energia. Pretese a cui, almeno per ora, il governo non ha alcuna intenzione di dare seguito. Come ha già chiarito Giorgia Meloni («gli incentivi non possono essere rivolti a una sola azienda»). E come è assai probabile abbia ribadito ieri Giorgetti. Ma Elkann, ovviamente, non è arrivato dov’è senza conoscere l’arte della diplomazia e della persuasione. E solo i prossimi giorni ci potranno dare maggiori dettagli sull’efficacia della sua missione politica dalla più alta carica dello Stato.