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Fausto Carioti: i 32 morti di Fiumicino, l'attacco dimenticato dei palestinesi in Italia

venerdì 15 dicembre 2023

3' di lettura

C’è una strage terroristica, avvenuta sul suolo italiano, che non merita commemorazioni ufficiali nel giorno dell’anniversario. Sarà così anche domenica prossima, nonostante la cifra tonda: cinquant’anni esatti. In nome della «ragion di Stato» fu etichettata subito come evento da destinare ad un rapido oblio, all’opposto della strage di Piazza Fontana, di quella della stazione di Bologna e di tutte le altre che possono fregiarsi dell’aggettivo “neofascista”. La regola che impone di parlarne e scriverne «per non dimenticare» in questo caso non vale. Eppure l’attentato del 17 settembre 1973 nell’aeroporto di Fiumicino ad opera del gruppo palestinese Settembre nero – lo stesso che un anno prima aveva insanguinato le Olimpiadi di Monaco – è, dopo la strage di Bologna, quello che ha causato più morti in Italia. Sotto le bombe incendiarie lanciate nello scalo romano e dopo morirono in 32: più lì che a Portella della Ginestra, a piazza Fontana, a piazza della Loggia e sul treno Italicus. Furono uccisi il finanziere ventenne Antonio Zara, che per primo, rispondendo all’allarme, provò a fermare i terroristi, un’intera famiglia (i coniugi Giuliano ed Emma De Angelis e la loro figlia Monica di 9 anni), il tecnico della manutenzione Domenico Ippoliti, preso in ostaggio e giustiziato a sangue freddo sull’aereo della Lufthansa dirottato dai terroristi, e altri ventisette dimenticati. I loro assassini sono rimasti impuniti e i governi italiani non hanno fatto nulla per impedirlo.

Tra i pochi che vogliono mantenere una luce accesa su ciò che avvenne quel lunedì c’è l’editore Rubbettino, che riporta in libreria “Fiumicino 17 dicembre 1973”, volume uscito nel 2010, ricco di testimonianze e interviste, inclusa quella al giudice Rosario Priore, e impreziosito dalla prefazione di Sandro Provvisionato, scomparso nel frattempo. Ma è un’eccezione. Imbarazza le istituzioni italiane quello che avvenne dopo: l’accordo tra Aldo Moro, allora ministro degli Esteri del governo Rumor, e le organizzazioni terroristiche palestinesi. Il “lodo Moro” garantiva piena libertà di movimento - nonché di rifornimento e di deposito di armi- sul suolo italiano ai fedayn di George Habbash, di Yasser Arafat e degli altri gruppi, in cambio dell’impegno di costoro a non fare più attentati terroristici sul nostro territorio.

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Sopravvisse al suo ideatore, ma non impedì ai commando palestinesi di lanciare bombe a mano nella sinagoga di Roma sabato 9 ottobre 1982, uccidendo il piccolo Stefano Gaj Taché, né di fare un nuovo attentato a Fiumicino il 27 dicembre del 1985, provocando stavolta 14 vittime. E imbarazza la sinistra la matrice di quella strage. Trentadue innocenti ammazzati (46 con quelli dell’attentato dell’85) sul territorio italiano smentiscono tutta la mitologia della gloriosa intifada dal volto umano, e fotografano la guerriglia palestinese per quello che è: un esercizio da fanatici e macellai. Come farà, cinquant’anni dopo e in modo tutto diverso, il massacro del 7 ottobre. Un episodio laterale aiuta a capire quanto profonda sia la rimozione. Il 16 agosto del 1972, a Fiumicino, due turiste inglesi salirono su un volo della El Al diretto a Tel Aviv. Nel bagaglio, a loro insaputa, c’era un mangianastri imbottito di tritolo, regalo di due ragazzi arabi che le avevano corteggiate a Roma. L’ordigno esplose nel vano bagagli, miracolosamente senza fare vittime. Questo episodio ispirò l’episodio “Senza parole” della pellicola “I nuovi mostri”, di Monicelli, Risi e Scola, anno 1977. Stessa trama, epilogo diverso: nel film il mangianastri che il corteggiatore arabo regala alla hostess Ornella Muti esplode in volo, non c’è nessun superstite. Missione riuscita. Ma nessuno oggi ha più il coraggio, in Italia e in Europa, di portare al cinema una storia del genere. Come se i terroristi islamici non esistessero più.

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