C’è chi, come il ministro della Difesa, Guido Crosetto, festeggia per Alessandro Profumo («È la conferma di una mia personale opinione»), c’è chi, come gli investitori, gli attuali vertici e, presumibilmente, anche il Tesoro, azionista col 40%, festeggia per il Monte dei Paschi di Siena, che potrà smobilitare fino a 500 milioni di accantonamenti per il contenzioso e diventare ancora più appetibile sul mercato, e chi, come Profumo, festeggia per se stesso («Sono emozionato. Dopo otto anni di sofferenza, si chiude questa triste vicenda»).
Insomma, per l’assoluzione in appello dell’ex presidente della banca, del suo ex dg Fabrizio Viola e dell’allora presidente del collegio sindacale Paolo Salvadori è festa grande. E ci mancherebbe che qualcuno si rammaricasse per una sentenza di innocenza, che va sempre accolta con sollievo e soddisfazione in un mondo dove i criminali purtroppo abbondano.
Epperò restano tante cose che non tornano. A decidere di chiudere con «il fatto non sussiste» la vicenda al centro di uno dei filoni dell'indagine su Mps, è stato il collegio della Corte d’Appello di Milano il quale ha ribaltato il verdetto con cui il Tribunale di primo grado, tre anni fa, con l’accusa di falso in bilancio e aggiotaggio, aveva inflitto 6 anni di reclusione all'ex ad Viola e al presidente Profumo, 3 anni e mezzo a Salvadori e 800mila euro di sanzione pecuniaria all'istituto di credito. Dettaglio non trascurabile: i pm avevano chiesto l’archiviazione e gli indagati sono finiti a processo con l’imputazione coatta (di cui tanto si è parlato negli ultimi mesi).
Ma non è tutto, perché la sentenza arriva a soli due mesi da quella con cui la Cassazione ha scagionato definitivamente tutti gli imputati del procedimento madre, a partire dall’ex ad Giuseppe Mussari e l’ex dg Antonio Vigni. Per i giudici di ultima istanza i famigerati derivati Alexandria e Santorini sottoscritti dalla banca non erano serviti a nascondere i pasticci e le perdite creati dall’acquisizione di Antonveneta.
Di qui la conseguente assoluzione di ieri, ma anche l’incredibile cortocircuito giudiziario. A Profumo e Viola - che nel 2013 avevano preso il posto dei primi due manager ai vertici della banca una volta iniziata l’inchiesta principale a Siena era stato infatti contestato il falso il bilancio (e quindi l’aggiotaggio, in quanto società quotata) perché avevano, secondo l’accusa, commesso anche negli anni successivi al 2013 gli stessi “errori” attribuiti a Mussari e Vigni. E per errori si intende l’inserimento, senza correzioni, dei derivati, che per i magistrati erano stati contabilizzati in modo non corretto, cioè a “saldi aperti” invece che “ a saldi chiusi”, nascondendo così la loro natura di prodotti altamente volatili, con una perdita già visibile a fine anno.
PARADOSSO
Ma il paradosso è che quando iniziò l’inchiesta principale su Mps, nel 2012, i nuovi vertici erano stati dietro le quinte i grandi accusatori di Mussari e Vigni e avevano aiutato la procura di Siena a ricostruire le vicende sotto indagine. Il che fa pensare che se gli accusatori sono risultati innocenti, gli accusati dovrebbero essere colpevoli. Di colpevoli, invece, sul caso Mps, sembrano non essercene più in giro. E qui nasce un altro problema. O meglio un’altra domanda: chi è che ha bruciato circa 30 miliardi in aumenti di capitale privati, ha portato la banca verso il crac e ha costretto lo Stato, col denaro dei contribuenti, a sborsare circa 7 miliardi di euro (ora diventati 6 con la recente vendita del 25%)? La risposta, a quanto pare, non c’è. E il Monte dei Paschi può così entrare a pieno titolo nel lungo ed oscuro elenco dei misteri d’Italia, dove tutto è offuscato, impreciso, evanescente, appeso ai segreti dei grandi vecchi o dei poteri forti, dato in pasto ai complottisti o a quelli che hanno sempre la verità in tasca.
Un risultato di cui, purtroppo, non c’è molto da festeggiare. Anche perché i circa 10 annidi inchieste non sono state fatte pro bono dai magistrati, ma hanno pesato sulle nostre tasche, persino su quelle di chi se le è viste svuotare dalle acrobazie finanziarie dell’istituto senese. Dietro il capolavoro c’è l’abitudine tutta italiana di moltiplicare le inchieste in mille rivoli, di contendersi la competenza, di ingaggiare duelli tra pm, ma c’è anche l’omertà di un sistema politico, quello del Pd (nazionale e territoriale), che dopo aver fatto il bello e il cattivo tempo a Siena ha fatto di tutto per intorbidare le acque ed evitare che qualcuno alla fine potesse puntare il dito. Mussari e Profumo sono sicuramente innocenti, ma è assai probabile che qualche colpevole l’abbia