La clemenza di Tito è un’opera di Mozart ma non una qualità del dittatore croato. Onorarlo è stato certamente un errore frutto di leggerezza e dei machiavellismi amorali della politica, ma persistere sarebbe diabolico. A sinistra qualche problema con la storia ce l’hanno da sempre, così come con la giustizia, applicata a senso unico agli avversari e interpretata a quattro corsie di marcia per simpatie ideologiche. Il maresciallo Josip Broz, nome di battaglia Tito, padre della Jugoslavia comunista polverizzata dalla guerra fratricida interslava, è ancora nel gotha dell’Ordine al merito della Repubblica italiana in virtù del conferimento del titolo di Cavaliere di gran croce con l’aggiunta del gran cordone. Lo elevò agli onori l’allora presidente Giuseppe Saragat, socialdemocratico. Correva il 1969, certe pagine della storia erano ignorate osi preferiva ignorarle, foiba era una parola che, quando compariva sui dizionari, indicava solo gli inghiottitoi carsici, e nessuno osava turbare la cortina di ferro del silenzio al di qua della frontiera più aperta d’Europa con un Paese comunista.
IL PARADISO SOCIALISTA
I circa 350mila esuli istriano-giuliano-dalmati non li ascoltava nessuno e bruciava ancora sulla loro pelle l’esperienza degli insulti e degli sputi alla stazione di Bologna, quando venne persino negato il latte ai bambini piccoli, dei campi profughi lontani dagli occhi e lontani dal cuore, additati come “fascisti” perché fuggivano dal cosiddetto paradiso socialista e volevano rimanere italiani. Nelle terre perdute sull’altra sponda dell’Adriatico avevano lasciato tutto e avevano perso amici e parenti, prelevati dall’Ozna, la polizia segreta di Tito, e trucidati nelle foibe dai partigiani comunisti già con la prima ondata del 1943, a volte dopo torture indicibili come accaduto a Norma Cossetto. Pulizia etnica non era ancora d’uso comune e Tito andava accarezzato come si fa con i gatti: dal verso giusto, non contropelo, altrimenti soffiano irritati e sfoderano gli artigli. Tito è stato questo e altro, eppure è ancora degno dell’alta onorificenza tricolore, secondo una certa sinistra che si aggrappa al fatto che nessun tribunale internazionale lo ha mai condannato come criminale di guerra. Da tempo gli esuli chiedono l’annullamento di quel decreto per indegnità, Fratelli d’Italia è tornata alla carica con la proposta di revoca post mortem del cavaliere cordonato con la stella rossa, forse senza paura ma sicuramente non senza macchia, scontrandosi col muro eretto sulle colonne dell’Huffington Post dal deputato di Sinistra-Verdi Filippo Zaratti. Il partigiano rossoverde arroccato sulle montagne del garantismo ideologico dice che no, non esistono prove a sostegno di una sentenza di condanna, il requisito dell’indegnità non sarebbe dimostrato e quindi l’onorificenza resta alla memoria.
IL TRIBUNALE DELLA STORIA
Ha ragione perché il tribunale degli uomini non s’è mai occupato delle stragi titine e della pulizia etnica degli italiani che poi l’hanno pure decorato come benemerito. Ma quello della storia sì. Di solito, ci dice la storia, chi si macchiava di crimini su grande scala si guardava bene dal mettere firme e dal protocollare gli atti più indegni e criminali. Non esiste una sola sigla di Adolf Hitler a supporto documentale della soluzione finale e dello sterminio di sei milioni di ebrei. Se la logica Zaratti valesse sempre e comunque, o la Shoah è simulazione di reato oppure venne compiuta a insaputa di Hitler che quindi sarebbe innocente per mancanza di prove. Quanto a Stalin, era l’«uomo che più ha fatto per il progresso dell’umanità», come titolò in prima pagina con incensata retorica L’Unità nel marzo 1953 per la morte del dittatore dei gulag, delle purghe, dei processi-farsa e delle fucilazioni per sospetti paranoici, dell’Holodomor ucraino con lo sterminio per fame, la cui fedina penale era sporca in epoca zarista ma emendata dall’aura rivoluzionaria bolscevica. I mostri restano mostri, senza necessità di una certificazione, e le mostruosità della realpolitik nella manica larga delle onorificenze per carica o nomea va corretta. Un dovere morale sul giudizio della storia. Ceausescu marito e moglie, Nicolae ed Elena, sono insigniti dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, non si sa bene perché. Fucilati il giorno di Natale del 1989 perché riconosciuti colpevoli di crimini contro il popolo romeno da un tribunale militare con giudizio sommario, stando a Zaratti anche formalmente sono indegni di figurare in un elenco dove gli infiltrati speciali lasciati a sonnecchiare tra migliaia di nomi non vengono espunti. Con Tito ci sono fedelissimi che applicarono le sue direttive politiche, come Mitja Ribicic, alto ufficiale della polizia segreta, la famigerata e sinistra Ozna, e l’ex ammiraglio jugoslavo Franjo Rustja. Ma spulciando vengono fuori nomi di sospettabili come Yasser Arafat, dal 1999 Cavaliere di gran croce decorato di gran cordone difficilmente conciliabile col terrorismo internazionale, o Mobutu, archetipo del dittatore africano all’eccesso, suo pari grado ma iscritto sin dal 1973. Stessa decorazione per Wojciech Jaruzelski (1989), artefice della repressione di Solidarnosh e della legge marziale in Polonia, oltre che a dittatori sudamericani e mediorientali.
LISTA DELLA VERGOGNA
Un vizietto della Repubblica, quello dell’ipocrisia? Macché. Il Regno d’Italia aveva appesantito di onorificenze il petto di spietati criminali come Hermann Goering (nella serie spicca il Collare dell’Annunziata che lo faceva cugino del Re Vittorio Emanuele III), il capo delle SS Heinrich Himmler (triplo cavalierato) e persino l’ideatore ed esecutore della Shoah Reinhard Heydrich (Grand’ufficiale e doppio cavaliere. Nero): il primo si suicidò prima di essere condannato al processo di Norimberga, il secondo si uccise appena dopo la cattura, il terzo venne assassinato a Praga nel 1942 dai paracadutisti cecoslovacchi con l’operazione Anthropoid e non finì mai alla sbarra. Andrebbe ricordato a Zaratti e a tutti coloro che aspettano le prove dei crimini di Tito, e pure che a Calisto Tanzi, dominus del clamoroso crac Parmalat, in poche settimane venne revocata l’onorificenza. Al bianco latte sì, al rosso sangue no.