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Hamas, ostaggi forzati a vedere i video delle stragi

di Lorenzo Mottola mercoledì 29 novembre 2023

3' di lettura

Eitan Yahalomi ha dodici anni. È stato nei tunnel di Gaza per 52 giorni, tenuto sotto chiave dai terroristi di Hamas. Le prime dodici notti le ha passate in una stanza al buio da solo. Un’autentica tortura, di cui ora, dopo la liberazione, racconta a fatica. «Lo hanno costretto a riguardare i video delle stragi», ha spiegato una sua zia. Sono i metodi palestinesi: ai ragazzini che si mettevano a piangere, semplicemente puntavano una pistola in faccia. Ragione per cui un’altra piccola, di nove anni, ancora parla sussurrando dopo il ritorno a casa. Ha paura che qualcuno, sentendola alzare la voce, la colpisca. E l’incubo non è finito con la liberazione: i parenti le hanno dovuto spiegare che sua madre non c’è più, assassinata. Si tratta di un caso abbastanza frequente tra i minori tornati da Gaza. Noam e Alma Or hanno rispettivamente 17 e 13 anni e sono stati rilasciati sabato. Per settimane hanno vissuto nell’incertezza, sia per la propria vita che per quella dei genitori. Portati via con la forza il 7 ottobre, erano sicuri che al ritorno avrebbero finalmente potuto riabbracciare la madre. Male cose sono andate in maniera molto diversa: i miliziani islamici le hanno sparato mentre tentava la fuga. È morta.

SOTTOTERRA
Sono tante le storie che stanno iniziando a circolare dopo lo scambio di prigionieri tra Israele e Hamas. Descrizioni che spesso si somigliano: gli ostaggi sono stati lasciati in stanze sottoterra, senza un filo di luce, dopo aver fatto chilometri a piedi in tunnel umidi. Costretti dormire su due sedie attaccate, senza possibilità di andare in bagno se non dopo attese che potevano durare fino a un’ora. E spesso separati dai propri parenti. Qualcuno ha provato anche a tentare la fuga, come Roni Kriboy, l’unico maschio adulto sin qui rilasciato. Kriboy era stato rinchiuso in una casa, da qualche parte nella Striscia. I bombardamenti israeliani hanno colpito il palazzo e nella confusione il ragazzo, 25 anni, ha tentato di farsi strada e scappare. Ha seminato i suoi carcerieri e si è avviato per tornare a piedi in Israele. Non ce l’ha fatta. «Ha tentato di raggiungere il confine, ma non avendo strumenti per sapere dove si trovasse e verso dove fuggire non ci è riuscito. È rimasto da solo, nascondendosi per quattro giorni». Poi gli abitanti di Gaza lo hanno trovato e riportato ai jihadisti. Ovviamente quelli che riportiamo sono racconti di parte. Tanti anche in Occidente metteranno in discussione la loro veridicità, perché per i nostri media (e per la verità anche per l’Onu) le notizie che escono dai territori controllati da Hamas vengono spesso messe sullo stesso piano di quelle che passano gli israeliani.

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IL RACCONTO
Una cosa però possiamo farla, per capire la differenza tra i due schieramenti. Mettere a confronto il racconto di una ragazza palestinese all’epoca minorenne - che ha passato otto mesi nelle carceri israeliane. Parliamo di Ahed Tamimi, eroina della resistenza in Cisgiordania, che recentemente è stata riarrestata per aver scritto di voler «bere il sangue» degli ebrei sui social. E che nei prossimi giorni potrebbe essere rilasciata in virtù degli accordi per la tregua. Ecco la sua descrizione della prigionia: «Ho fatto un sacco di cose. Un corso di studi giuridici, abbiamo passato molto tempo su questo, e studi per preparare gli esami di maturità. Ho letto libri. Cantavamo. Facevamo anche colazione assieme a tutto il raggio: uscivamo, ogni camerata portava le sue cose e mangiavamo insieme». C’è da tenere presente che tanti enti internazionali hanno spesso denunciato gli orrori patiti dai palestinesi nelle carceri israeliane. Campagne che hanno fatto molto più rumore di quanto sia stato fatto per gli ostaggi in Europa. Eppure, come dice Tamimi, la situazione sotto il “regime” di Gerusalemme è questa: «Ci sedevamo, cantavamo e ballavamo. C’erano un sacco di cose che abbiamo fatto, per passare il tempo: guardavamo la televisione, ad esempio, saltellavamo qua e là per le camerate e facevamo cose sciocche, un sacco di cose». Un buon punto di partenza per capire da che parte ha senso stare. 

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