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Un test a chi dispone delle vite altrui

di Mario Sechi mercoledì 29 novembre 2023

 Toghe

3' di lettura

Il cortocircuito tra politica e giustizia non è mai stato riparato. La magistratura dallo scoppio di Tangentopoli in poi ha svolto un ruolo decisivo nella “selezione” della classe politica e dei governi. La vulgata era che il problema fosse Silvio Berlusconi, ma la trasformazione delle procure della Repubblica in Repubblica dei pubblici ministeri è precedente alla “discesa in campo” del Cavaliere, Mani Pulite decretò la fine del sistema dei partiti nato nel Dopoguerra, si salvò il Pci che allora (e in buona parte ancora oggi, per visibile affinità culturale) era il punto di riferimento della magistratura.

Da allora nulla è cambiato, anzi le cose sono peggiorate, perché la magistratura con il collasso dei partiti e delle altre parti sociali intermedie, si è sentita investita di un ruolo di “supplenza” che ne ha moltiplicato in maniera esponenziale il raggio d’azione. Alla politica è rimasto un ruolo subalterno, mentre l’apparato tecno-giudiziario (la macchina kafkiana della giustizia penale, civile e amministrativa) ha preso il sopravvento al punto da diventare sul piano legislativo una “terza camera”, mentre sul piano dell’applicazione della legge è diventata un (contro) potere capace, attraverso l’interpretazione giuridica, di smontare pezzo dopo pezzo qualsiasi programma di governo, compresi gli esecutivi del centrosinistra. Che il Movimento Cinque Stelle sia collaterale alla magistratura militante non fa notizia (i pentastellati sono figli di una cultura giacobina), ma che il Partito democratico insegua dopo tanti errori e orrori il mito della rivoluzione giudiziaria e dell’intoccabilità delle toghe, questo è un elemento preoccupante, è la regressione dell’opposizione.

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Sul piano politico è in corso una mutazione estrema del centrosinistra dove il centro è sparito, sostituito da un nuovo qualunquismo che tiene insieme l’altro-mondismo confusionale del Pd di Elly Schlein e il vuotismo di Giuseppe Conte, riempito di slogan che sono l’ultimo spurgo del giustizialismo grillino (esempio, la legge “spazzacorrotti”). È la vocazione allo sfascio che si traduce nell’impossibilità di proporre riforme nel pianeta della legge e dei suoi sacerdoti. Tutti i provvedimenti presentati dal governo sono stati attaccati a testa bassa dalla magistratura associata che appare completamente dissociata dalla realtà della nazione. Il magistrato che fa politica la mattina e poi avvia un’indagine la sera contro un soggetto che considera avversario sul piano ideologico avrà un giudizio sereno sul caso che sta esaminando? L’obiezione scontata è che già esiste lo strumento della “legittima suspicione” per cui di fronte al sospetto di squilibrio si può chiedere la ricusazione del giudice, ma la legge va letta nel contesto storico e la cronaca parla chiaro: la politicizzazione della magistratura è oggi al livello di guardia, supera la necessaria moderazione (pensate alle espulsioni dei migranti, alle decisioni del giudice Apostolico e alla sua militanza ideologica), colpisce al cuore la garanzia della terzietà del giudice che non è più un dato naturale ma un terno al lotto. La politicizzazione delle correnti che doveva sparire, è un mercato fiorente dove la comprensibile posizione culturale è stata annullata dal furore dell’ideale che spesso è lontano anni luce dal reale. Si tratta di una dissociazione netta tra il nobile ideale (la legge è uguale per tutti) e il risultato finale (la legge senza giustizia).

Chi tocca i fili della giustizia muore, questo dice la storia dei governi degli ultimi trent’anni, per questa ragione il cortocircuito è ancora attivo. In questo scenario, la levata di scudi contro l’idea di proporre test psico-attitudinali per i magistrati (una delle tante questioni che Francesco Cossiga vide con largo anticipo) è un altro capitolo di palese difesa corporativa, siamo in un campo dove da trent’anni la logica è stata espulsa, sostituita da una cultura del no che blocca ogni riforma. Per quale motivo un magistrato - che dispone delle vite degli altri- non deve provare di essere dotato dell’equilibrio mentale necessario per indagare, accusare, punire, assolvere, giudicare. Vale per la polizia, i carabinieri, i piloti. Non solo per l’accesso, ma durante tutte le fasi della carriera vanno effettuati dei doverosi accertamenti. Questo non è un disegno punitivo, è un provvedimento che serve alla magistratura per recuperare l’immagine compromessa da tante decisioni abnormi, è la garanzia minima che serve al cittadino per sentirsi giudicato con equilibrio. Se un procuratore ordina centinaia di arresti e regolarmente questi sono rigettati, bisogna chiedersi non solo come abbia lavorato quel magistrato, ma anche se la sua mente è lucida. La sezione disciplinare del Csm conosce bene il problema, i casi di evidente squilibrio esistono, ma tutti tacciono. È nel silenzio degli innocenti, che si massacra il diritto.

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