Di primo acchito, di fronte alla rassegna stampa di ieri mattina, mi è venuto il serio dubbio di aver ecceduto col vino la sera prima. Editoriale in prima pagina de La Stampa, a firma del neodirettore Andrea Malaguti, nominato per sterzare dalla partigianeria radical di Massimo Giannini. E infatti l’equilibrato titolo è: “Meloni, Atreju e il momento Churchill di Elly Schlein”.
Il momento Churchill di Elly Schlein. Avvicino lo schermo, scuoto il capo per placare eventuali cali di lucidità, focalizzo le lettere, faccio lo spelling perché, che diamine, non viviamo dentro un pezzo di Libero, il direttore del (fu) quotidiano della borghesia sabauda non può arrivare a scavalcare Marco Furfaro in zelo schleiniano. Niente da fare, c’è scritto proprio “il momento Churchill di Elly Schlein” (fossimo nella famiglia Elkann inizieremmo ad accantonare liquidità per la più che probabile querela milionaria da parte degli eredi dello statista britannico). Più grottesco della titolazione c’è solo lo svolgimento: “Ricordate? Monaco 1938, Francia e Gran Bretagna, guidata da Chamberlain, cedono alla richiesta di Hitler di occupare i Sudeti e sacrificano la Cecoslovacchia. Churchill, profetico, commenta: potevate scegliere tra la guerra e il disonore, avete scelto il disonore, avrete la guerra”.
Sì grazie, ricordiamo, e se proprio volessimo imbastire un’analogia col presente (idea che non ci avrebbe mai sfiorato) ci verrebbe da dire che la ferma e disincantata consapevolezza di Churchill si riverbera in quelle leadership che di fronte a un altro tiranno che ha mosso i carri armati in Europa quasi novant’anni dopo non hanno distolto lo sguardo, non si sono involute in sterili e disonorevoli precisazioni sulla bruttura delle armi e si sono schierate senza complessi pacifinti al fianco dell’Ucraina (sì, tra queste c’è anche Giorgia Meloni). Malaguti no, Malaguti vola più alto, ci mette di fronte all’eterna contrapposizione: “Trattare a prescindere o rompere per sempre con chi si ritiene irrimediabilmente distante dai nostri valori?
Siete Churchill o Chamberlain?”. Vola talmente alto, il direttore, che precipita. “Schlein sceglie Churchill”. Una frase che peraltro fa torto a entrambi i soggetti coinvolti (per l’agenda arcobaleno e petalosa di Elly il vecchio leone conservatore deve essere più o meno sullo stesso piano di quell’imbianchino austriaco). Ma la genialata sta nella motivazione: da cosa si deduce, questa scelta, dove sta il “momento Churchill” della segretaria (mi scuso col lettore e con la memoria del salvatore del mondo libero per il continuo accostamento)? Ma è ovvio, nel suo “Gran Rifiuto” al palco di Atreju. Quindi, provando a orientarci nel ragionamento psichedelico: Elly è come Winston, perché tiene duro e non pratica l’appeasement. “Io sono l’opposto di Giorgia Meloni. Con lei non ho nulla da spartire”, sintetizza un Malaguti adorante, ed è già tanto che non le metta in bocca “vi prometto lacrime e sangue”, tanto ormai il canone della verosimiglianza l’aveva stracciato.
Dal quadretto si evince, e non ci sono paraculismi direttoriali che tengano (“al di là della irripetibile drammaticità del momento” ecc. ecc.), che Giorgia Meloni è come l’interlocutore di allora, come il tizio coi baffetti, come Hitler. Se Schlein fa bene a non recarsi dall’avversaria, perché con essa c’è un fossato ontologico e valoriale come quello su cui aveva ragione Churchill, quel fossato si chiama nazionalsocialismo, c’è poco da fare. Daniele Capezzone è stato accontentato: hanno accantonato l’allarme fascismo. Sono passati direttamente all’allarme nazismo. Apprendiamo quindi che la Costituzione è “minacciata” dalla “voglia di comandare” della premier e che il Parlamento è un “luogo dimenticato, squalificato e superato” (oggi, non quando il governo Conte amputava, lì sì, fondamentali libertà costituzionali con dirette Facebook notturne durante la pandemia). E pertanto fa bene Elly a volere l’incontro con Giorgia solo in aula, prima che qualcuno bruci Montecitorio come venne fatto col Reichstag.
Scappa da ridere, ci rendiamo conto, a furia di saltare dalla tragedia della storia alla commedia della cronaca commentata da Malaguti, del resto parliamo di uno che scrive “la verità non sempre si sovrappone a ciò che è vero”. Qui siamo passati da Churchill a Protagora, fondamentalmente il direttore ci sta dicendo: vale tutto, purché contribuisca alla mostrificazione (no, il termine non è esagerato, se tiri in ballo la svastica) del governo voluto dalla maggioranza degli italiani. È la sofistica aggiornata all’era dell’antimelonismo. La vedete anche voi, Elly Schlein, che di fronte alla sua Monaco personale non manca l’appuntamento con la Storia, non si piega come quelle tante controfigure di Chamberlain che sono stati negli anni Bertinotti, Veltroni, Enrico Letta, e dice eroicamente “No, non vengo ad Atreju”? Sembra perfino fare il gesto della vittoria e accendersi un sigaro, come il suo predecessore inglese... Non la vedete? Bene, non potrete lavorare a La Stampa, ma in compenso potete fare a meno dell’ambulanza.