Pietro Senaldi: i talebani della lingua finiti in un buco nero
Il politicamente corretto ha raggiunto vette di comicità siderali. La proposta della ministra brasiliana per l’Uguaglianza Razziale di mettere al bando il termine astrofisico “buco nero”, in quanto discriminatorio della popolazione di colore, si potrebbe liquidare con una pernacchia, o più civilmente con un’alzata di spalle. Farlo però sarebbe un errore. Mai sottovalutare l’idiozia, meglio stroncarla ogni volta che alza la testa.
L’atteggiamento tollerante verso i deliri della cosiddetta ideologia woke ha già fatto parecchi danni, prendendosela contro eroi della storia come Cristoforo Colombo, Thomas Jefferson e Winston Churchill, giudicati pericolosi razzisti dalla nuova inquisizione progressista che vuol riscrivere la storia.
MINISTRA DELL’UGUAGLIANZA
Anielle Franco, così si chiama la temeraria ministra di Lula, sbianchettando il vocabolario, e il termine non è casuale, visto che la signora amai neri ma non tollera la parola “nero” e tutte le sue declinazioni linguistiche, si illude di trasformare il Brasile nel faro della giustizia sociale. Il suo progetto di alfabetizzazione razziale dei trecento e passa milioni di cittadini che la signora vorrebbe educare si prefigge anche di vietare l’uso del verbo “denigrare”, a riprova che le vie dell’inferno, e dell’ignoranza sono lastricate di buone intenzioni. Denigrare, le hanno fatto prontamente notare i linguisti carioca, deriva dal termine “oscurare”, e quindi non ha alcuna valenza razzista.
È un vizio della sinistra mondiale pensare di poter modificare la realtà semplicemente descrivendola per come vorrebbe che fosse. Talvolta il processo parte a fin di bene, come nel caso dei termini razzisti, ma poi l’ideologia prende il sopravvento e si producono effetti opposti a quelli sperati. L’ideologia woke, anziché avvicinare le etnie ha diviso la società più di quanto non lo fosse già, interrompendo con una violenza moralista e censoria, un processo di integrazione e amalgama che, con i tempi fisiologici, era in corso.
DANNI SENZA FINE
La prova dei danni del politicamente corretto la si ha dove esso è nato, nelle università americane, dove non si può dire “negro”, non si possono fare i complimenti alla compagna di corso, si criminalizza l’uomo bianco e la sua cultura e poi, inevitabilmente, si finisce a inneggiare ai tagliagole islamici di Hamas e a nazificare Israele, non riuscendo a distinguere tra carnefici e vittime: anzi, invertendoli.
In Italia non va troppo diversamente. Giustifichiamo i crimini dei giovani italiani immigrati di seconda generazione, battendoci il petto perché non siamo riusciti a integrarli, e poi tolleriamo i loro rap musicali nei quali inneggiano a spaccio, sparatorie e rapine, naturalmente ai danni dei loro coetanei con antenati nati qui da generazoni, additati con spregio come figli di papà.
Ma siamo poi sicuri che eliminare il nero dal nostro vocabolario, e un domani di certo anche il giallo e il marrone, sia rispettoso di chi ha la pelle più scura della nostra? O non sia piuttosto un evidenziare una diversità, connotandola come negativa al punto che occorre eliminarla perché associare il nero a una persona finisce per essere di per se stesso un insulto? Sorge il sospetto che i più grandi razzisti siano i sacerdoti del politicamente corretto. Incapaci di accettare il diverso, tendono a confonderlo con loro stessi e finiscono per disprezzarsi.