Le genialità ironica di Alfred Hitchcock fu quella di fondere con il thriller le paure di ognuno di noi, le più nascoste e inconfessate, perché ci vergogniamo, timorosi dell’accusa di essere giudicati infantili e sciocchi. Dopo aver cavalcato il ’900, quale autore e regista più prolifico del mondo hollywoodiano e televisivo, torna a colpire in una veste inedita in versione italiana, firmando con il suo “patrocinio” un’antologia, titolo Alfred Hitchcock presenta: storie che mia madre non mi raccontò mai - I racconti preferiti del maestro della suspence (Blackie edizioni, pp. 258, euro 21). Anche dalla scelta delle opere di quattordici scrittori, emerge il suo stile: con Hitchcock non ci si può limitare alla definizione di trhiller o noir, perché lui è stato il maestro assoluto della suspence, cioè quel momento di aspettativa con batticuore (tipo la «pericolosa e ansiogena passeggiata di Cappuccetto Rosso nel bosco», disse François Truffaut) non tanto per identificare il colpevole di un delitto, quanto per conoscere i problemi nascosti che inducono ad impugnare un’arma, somministrare un veleno, tendere una trappola.
Il regista più prolifico che sia mai esistito, titoli che appartengono alla storia del cinema, analizzati e copiati, oggetto di sequel e prequel, da “Psyco” a “Gli uccelli”, da “La finestra sul cortile” a “L’uomo che sapeva troppo”, da “Caccia al ladro” a “Intrigo internazionale”, oltre ad essere protagonista di un cameo in trentasette dei suoi cinquantatré film. Ed è lui che domina con il faccione tondo ed emigmatico pubblicato accanto all’introduzione del libro, scritta di suo pugno: «Sono pronto a testimoniare che nessuna di queste storie mi è mai stata raccontata da mia madre, in nessun modo... Sono storie per palati raffinati, che abbiano già dimestichezza con corpi contundenti, grida nella notte e calici di vini avvelenati».
L’INFANZIA
Par di vederlo, quell’ometto che nulla aveva di fascinoso nel fisico, eppure realizzò con Grace Kelly il suo simbolo di seduzione preferito, ghiaccio bollente, quell’algida, raffinata “bionditudine”, tanto che molto si mormorava quando lui tentò invano di farla tornare al cinema, e si scambiavano telefonate nella notte, e lei era diventatata principessa, sovrana del principato da favola di Montecarlo, forse malinconica e infelice per aver lasciato Hollywood. E non a caso è nominata la madre nel titolo, ricordando la sua infanzia a Londra, quando il piccolo Alfred aiutava i genitori (che gli trasmisero l’amore per il teatro) nel negozio di frutta e verdura a Londra e andava in giro con il padre a portare le consegne ai clienti. Ma non si lascia mai andare ai sentimentalismi, e così consegna al lettore un raffinato pacchetto di paure: «Ho incluso anche uno o due racconti di intrattenimento, ma non prendetelo come un segno di debolezza: anche queste storie sotto sotto celano brividi che rendono la lettura più interessante. Ci sono poi alcuni racconti che considero quasi diabolici...».
Già, come dicevamo, le paure che condizionano le nostre vite, tipo quella di non riuscire a conquistare l’oggetto del nostro amore che emerge da “Ultimo viaggio”, racconto di Francis Scott Fitzgerald, dove il giovane protagonista si trova ad inseguire l’amata Ellen, seducente studentessa, a bordo di un treno notturno verso Chicago, per riportarla a casa, e liberarla dall’infatuazione per un pericoloso delinquente, la paura corre sulle rotaie. In “Tutta la città dorme”, di Ray Bradbury, c’è l’incubo del male, attraverso la storia due ragazze che si imbattono nel cadavere di un’amica assassinata in una cittadina dell’Illinois. È una soffocante notte d’estate, invano un’anziana signora aveva tentato di dissuaderle, dicendo loro che si sarebbe chiusa in casa, con il suo fucile, perché in giro circolava un killer spietato, che tutti chiamavano “Il Solitario”. Ma loro si incamminano, «Lavinia sentiva il soffio caldo della notte d’estate salire dal marciapiede come dalle pareti di un forno...Il calore le passava sotto le vesti, intorno alle gambe, con un subdolo senso di invasione...».
FINALE A SORPRESA
Un capolavoro il racconto di Patricia Highsmith “La cravatta del presidente Wilson”, che narra di Clive Wilkes, fattorino per un negozio di alimentari, il quale, con varie scuse, allunga il tempo delle consegne per andare a visitare il Museo degli orrori in cera di Madame Thibault. Impazzisce di eccitazione per tutto quel sangue dipinto, come nel gruppo che raffigura l’assassinio del Presidente Kennedy. Ma lui vorrebbe tanto vederlo scorrere davvero, quel sangue, così una notte si fa chiudere dentro e quando al mattino il personale torna al lavoro ...