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Daniele Capezzone: la sinistra grida "apocalisse" e copre il non fatto

di Daniele Capezzone sabato 4 novembre 2023

5' di lettura

Ma perché lo stesso maltempo, le medesime precipitazioni, non procurano guasti particolari nel Regno Unito o in Francia, e invece qui da noi, per giunta nelle regioni rosse, producono effetti devastanti? Perché- in automatico - si cerca l’uscita di sicurezza del “cambiamento climatico” come giustificazione di tutto? Perché dobbiamo assistere alle esibizioni del governatore toscano Eugenio Giani con tanto di giubbetto fosforescente della Protezione Civile indossato anche quando è al chiuso, pure se si collega in tv da un ufficio? La realtà è che ormai il project fear, l’uso sistematico della paura, è un format applicabile a qualunque circostanza: se voti Brexit, sarà la fine del mondo; se vince Trump, finisce la democrazia. E via spaventando, terrorizzando, caricando tutto di valenze estre me.

E inutile dire che la killer application di questa tecnologia sociale è proprio l’ecofondamentalismo, il talebanismo green, ambito in cui l’uso della paura (moriremo tutti: e già il nome “Ultima generazione” scelto da uno dei gruppi più scatenati allude alla fine del mondo imminente) si accompagna a un approccio parareligioso: abbiamo peccato contro la Terra, la Natura si vendica, dobbiamo pentirci, dobbiamo decrescere. Capite bene che, dinanzi a un simile dogmatismo, non c’è razionalità che tenga, non c’è argomento fattuale, non c’è nemmeno dibattito possibile. Lo stesso futuro di deindustrializzazione, la perdita quasi certa di posti di lavoro, l’impoverimento dei ceti medi sono “dettagli” rispetto all’immensità del Male che abbiamo commesso e dal quale dobbiamo emendarci. Attenzione però: accanto alla dimensione mistica da religione farlocca (la cui profetessa, ovviamente, è Greta Thunberg), c’è anche un aspetto più furbesco, più levantino, più da magliari. Buttarla sull’apocalisse assolve da tutti i peccati.

E così, dall’alluvione in Emilia-Romagna della scorsa primavera fino alle immagini che giungono in queste ore dalla Toscana, passando per l’esondazione del Seveso in Lombardia, una narrazione martellante e quasi unanime ha subito messo da parte gli elementi razionali e fattuali (cioè ciò che si sarebbe dovuto fare: dighe, cura degli argini, realizzazione completa dei bacini di espansione, ecc.) per virare sul registro apocalittico. E così ogni evento viene descritto non solo come la prova del cambiamento climatico in atto (ormai siamo già molto oltre), ma di una sua estremizzazione irreversibile. Anzi, reversibile solo a patto di consegnarsi ai dogmi degli ecotalebani. A nulla vale ricordare le alluvioni verificatesi in Emilia-Romagna negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta (climate change già allora?). E sempre a nulla vale evocare ciò che in Toscana avviene da secoli. Ogni spiegazione razionale e ogni proposta concreta (cura del territorio, bacini di espansione, ecc.) è risultata meno gradita rispetto all’imminenza della fine del mondo.

E tutto questo – come dicevo – serve ad assolvere. In Emilia-Romagna, prima di diventare segretaria del Pd, la vicepresidente della Giunta con delega al mitico “Patto per il clima” era Elly Schlein: proprio lei, mica un’omonima. E in quella regione così come in Toscana è la sinistra che governa da sempre, e senza eccezioni. Capite bene che allora l’apocalisse diventa provvidenziale: è un lavacro che risolve tutti i problemi. In un contesto del genere, diventa perfino ovvio che le opinioni diverse siano sempre meno tollerate. E personalità della cultura (Roberto Saviano) e della divulgazione scientifica (Mario Tozzi) hanno più o meno esplicitamente suggerito che ai loro avversari si tolga la parola. Ecco Saviano, mesi fa, sul suo profilo Facebook: «Il cambiamento climatico non è un’opinione: è un fatto. Quando vedete negazionisti a confronto con scienziati o attivisti, è come vedere terrapiattisti discutere con fisici o geologi. È come sentir parlare i negazionisti dell’Olocausto o coloro che ancora dicono che la mafia non esiste». Ed ecco Tozzi sentito tempo fa dall’edizione online di Repubblica: «Se vengo invitato, chiedo sempre chi avrò davanti a me e non accetto confronti, né concedo il palcoscenico ai negazionisti». 

Sempre Tozzi ha soavemente aggiunto su Twitter che i negazionisti «vanno trattati come appestati», mentre l’ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio ha evocato in tv (scherzando ma non troppo) il trattamento sanitario obbligatorio, scavalcato ampiamente dal verde Angelo Bonelli, che tempo fa ha preannunciato una proposta di legge per istituire il reato di negazionismo climatico (idea che il giorno dopo ha parzialmente derubricato a «proposta provocatoria per evidenziare gli effetti e le reazioni dell’Internazionale del negazionismo climatico»). Morale: noi dovremmo continuare ogni sera ad ascoltare in tv le scene isteriche dell’ultimo militante ecosvalvolato, mentre dovrebbe esserci preclusa la possibilità di valutare voci “dissenzienti” come quella del professor Franco Prodi o del premio Nobel per la fisica John Clauser (una cui conferenza al Fondo monetario internazionale è stata non a caso annullata), “colpevoli” di contestare i dogmi green. Vada sé che lo slittamento logico sia inesorabile: chi ha un dubbio è un negazionista (esattamente come uno che neghi l’Olocausto: il termine usato è significativamente lo stesso!); il negazionista non deve poter disporre di microfoni o tribune; nella migliore delle ipotesi, fa perdere tempo; nella peggiore, sarà forse prezzolato e a libro paga dei produttori di fonti fossili. Invece, chi oggettivamente porta l’Occidente a infilare la testa nella bocca del drago cinese deve essere un benefattore. Peraltro, non c’è solo la questione del free speech. Esiste anche una devastante incognita economica e sociale, con una sempre più inquietante propensione di molti a spingere per soluzioni uniche calate dall’altro. Parlerei di una pericolosissima combinazione di dogmatismo e dirigismo. 

Non nascondiamocelo. Il tremendismo climatico e l’estremismo green possono rappresentare una grande occasione per la politica di dirigere l’economia, di “scegliere i vincitori” costruendo alleanze con i settori produttivi e le imprese “premiate”. Il tutto a spese di contribuenti e ceto medio, destinatari di una depilazione a secco. In sostanza, siamo davanti a un ennesimo tentativo di cercare un’occasione per imporre le ricette anti-liberali di sempre: socialismo, pianificazione, decisioni imposte dall’alto autoritativamente e per tutti. Con relativa “amnistia” per ciò che i pubblici poteri avrebbero dovuto fare e non hanno fatto. Come si vede, l’ecoterrore produce effetti più preziosi dell’oro per la sinistra: demonizzare gli altri (la destra “indifferente” o “negazionista”) e mobilitare i propri (la sinistra “sensibile” e caring), regalando a questo secondo fronte una bandiera “buona” sotto la quale radunarsi e farsi coraggio. Resta un ultimo (e infame) dettaglio, che non vi sarà certo sfuggito: l’uso della parola “negazionismo”. Quando ha di fronte i negazionisti veri (i nemici degli ebrei, cioè quelli che chiudono gli occhi davanti alla ripetizione per mano di Hamas degli orrori di ottant’anni fa, in un ideale passaggio di testimone tra nazismo e nazi-islamismo), la sinistra quella parola non la vuole usare. Quando invece viene utile in salsa green per criminalizzare gli avversari, allora il termine “negazionisti” torna di moda. È l’ora di smascherare questa impostura.

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