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Filippo Facci, la mafia dei grandi boss non esiste più da 30 anni

di Filippo Facci mercoledì 27 settembre 2023

4' di lettura

Facciamolo dire ad altri, che Matteo Messina Denaro non era nessuno, e che la mafia (Cosa Nostra) è morta da almeno vent’anni. Prendete il librone «Mani pulite» di Barbacetto-Gomez-Travaglio che in 733 pagine cerca di riassumere l’Italia dal 1992 al 2002: Matteo Messina Denaro non è nominato neppure una volta. Mai. Prendiamo poi «gli intoccabili» di Travaglio-Lodato, che cercava di riassumere la storia della mafia dagli albori al 2005: Messina Denaro è nominato due sole volte, senza spiegare chi fosse (se non un generico «boss latitante») mentre Silvio Berlusconi è nominato 187 volte.

Ora prendete i Ros dei carabinieri (Raggruppamento operativo speciale) sotto la cui egida Messina Denaro fu arrestato nel gennaio scorso: il fondatore dei Ros è stato quel generale Mario Mori che è stato recentemente assolto anche dal processo -fanfaluca sulla «trattativa» (dopo esser stato processato e assolto, paradossalmente, anche per le modalità di come a suo tempo arrestò i supercapi Riina e Provenzano) il quale disse, quel Mario Mori, sempre nel gennaio scorso, che «la mafia di Matteo Messina Denaro è finita, non c’è un capo». Poi, l’altro giorno, dopo la morte di Denaro, ha aggiunto: «All’epoca era un colonnello, un operativo. È diventato un mito quando sono venuti meno gli altri... La mafia è morta».

RIPETIZIONI
Poi facciamolo dire alla Relazione del 2013 della Dna (Direzione nazionale antimafia) che parlava di Messina Denaro in «termini simbolici», e lo limitava un «capo delle famiglie mafiose del trapanese». Facciamolo ripetere ad Alessandro Pansa, capo della Polizia sino al 2016, ascoltato dalla Commissione Antimafia: disse che Messina Denaro non era il capo di Cosa Nostra e che era interessato solo al suo arricchimento personale. A dirlo fu persino Totò Riina, intercettato in carcere: ne parlò male, e disse che si faceva i fatti suoi. Scrisse allora Repubblica del 27 marzo 2014: «È la verità o il vecchio Riina vuole mischiare ancora una volta le carte?». E allora facciamolo dire al più noto storico della mafia, Salvatore Lupo, intervistato da Ermes Antonacci sul Foglio: «La stagione stragista della mafia si è chiusa trent’anni fa, e quasi tutti i suoi artefici erano già stati presi molto prima della cattura di Messina Denaro... La mafia non esiste più da decenni. Molti osservatori pensano: «È impossibile che sia successo ciò che è successo, non è stata solo mafia». E invece era solo mafia. Riina aveva quel potere perché poteva far uccidere chiunque. Questo non si verifica più da trent’anni».

PROCURATORE
Ora proviamo a dirlo noi, magari male: la mafia, che in realtà si chiamava Cosa Nostra e basta, fu appunto sconfitta negli anni Novanta. Il frutto più prezioso della permanenza in Sicilia del procuratore Giancarlo Caselli furono le catture di importantissimi boss latitanti e degli autori materiali della strage di Capaci (tra questi: Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Gaspare Spatuzza) oltre al numero impressionante di ergastoli inflitti dal 1993 alle soglie del nuovo millennio, e i circa 1.500 criminali che divennero collaboratori di giustizia e che purtroppo sollevarono seri problemi circa la loro credibilità.

IL FRONTE
Ma il fronte antimafia piuNlvicino a Caselli fu anche quello che trasformò l’Antimafia in religione e che pure trasformò ogni auspicio di «normalità» in dolosa strategia di «normalizzazione», intesa come base di un improbabile ritorno di Cosa nostra. Il legalismo fu eletto a credenza etica, a velleitaria pretesa che una società fosse purificabile a suon di ordinanze giudiziarie sorrette da cortei e piazze televisive. Ma poi, tramortita per sempre la vera mafia, l’Antimafia fallirà tutti i suoi processi di cosiddetto terzo livello: il senatore Giulio Andreotti, il giudice Corrado Carnevale, i citati eroi dei Ros a cui va aggiunto il tenente Carmelo Canale, uomo di fiducia di Paolo Borsellino, poi il religiosi Padre Mario Frittitta e Salvatore Cassisa, i penalisti Francesco Musotto e Filiberto Scalone, il ministro Calogero Mannino, senza contarne infiniti altri o gli infiniti tentativi di processare Silvio Berlusconi per le stragi del 1992 e 1993. Tutta gente assolta o prosciolta.

POLTRONIFICIO
L’esistenza del latitante Matteo Messina Denaro serviva a giustificare in ultimissima istanza l’esistenza delle strutture antimafia e l’antimafia in generale, che oggi, per come è disegnata, non serve più a niente ed è solo un poltronificio. Vale anche per certi giornalisti mafiologi di tanti importanti quotidiani. Vale soprattutto per la commissione parlamentare antimafia, che dal 1962 macina carta ed è ancora ufficialmente un organo della Procura generale presso la Cassazione, ma non serve, al pari delle associazioni antimafia che vengono sovvenzionate dai ministeri dell’Interno e dell’Istruzione: servono solo a tenere occupati dei nullafacenti. E a proposito di nulla, ecco il titolo – uno solo, tra altri giornali – del Fatto Quotidiano di ieri: «L’archivio di Riina e la Trattativa: i segreti che Matteo Messina Denaro portava con sé». E nulla è più segreto di un segreto che non è mai esistito.

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