Facciamolo dire ad altri, che Matteo Messina Denaro non era nessuno, e che la mafia (Cosa Nostra) è morta da almeno vent’anni. Prendete il librone «Mani pulite» di Barbacetto-Gomez-Travaglio che in 733 pagine cerca di riassumere l’Italia dal 1992 al 2002: Matteo Messina Denaro non è nominato neppure una volta. Mai. Prendiamo poi «gli intoccabili» di Travaglio-Lodato, che cercava di riassumere la storia della mafia dagli albori al 2005: Messina Denaro è nominato due sole volte, senza spiegare chi fosse (se non un generico «boss latitante») mentre Silvio Berlusconi è nominato 187 volte.
Ora prendete i Ros dei carabinieri (Raggruppamento operativo speciale) sotto la cui egida Messina Denaro fu arrestato nel gennaio scorso: il fondatore dei Ros è stato quel generale Mario Mori che è stato recentemente assolto anche dal processo -fanfaluca sulla «trattativa» (dopo esser stato processato e assolto, paradossalmente, anche per le modalità di come a suo tempo arrestò i supercapi Riina e Provenzano) il quale disse, quel Mario Mori, sempre nel gennaio scorso, che «la mafia di Matteo Messina Denaro è finita, non c’è un capo». Poi, l’altro giorno, dopo la morte di Denaro, ha aggiunto: «All’epoca era un colonnello, un operativo. È diventato un mito quando sono venuti meno gli altri... La mafia è morta».
RIPETIZIONI
Poi facciamolo dire alla Relazione del 2013 della Dna (Direzione nazionale antimafia) che parlava di Messina Denaro in «termini simbolici», e lo limitava un «capo delle famiglie mafiose del trapanese». Facciamolo ripetere ad Alessandro Pansa, capo della Polizia sino al 2016, ascoltato dalla Commissione Antimafia: disse che Messina Denaro non era il capo di Cosa Nostra e che era interessato solo al suo arricchimento personale. A dirlo fu persino Totò Riina, intercettato in carcere: ne parlò male, e disse che si faceva i fatti suoi. Scrisse allora Repubblica del 27 marzo 2014: «È la verità o il vecchio Riina vuole mischiare ancora una volta le carte?». E allora facciamolo dire al più noto storico della mafia, Salvatore Lupo, intervistato da Ermes Antonacci sul Foglio: «La stagione stragista della mafia si è chiusa trent’anni fa, e quasi tutti i suoi artefici erano già stati presi molto prima della cattura di Messina Denaro... La mafia non esiste più da decenni. Molti osservatori pensano: «È impossibile che sia successo ciò che è successo, non è stata solo mafia». E invece era solo mafia. Riina aveva quel potere perché poteva far uccidere chiunque. Questo non si verifica più da trent’anni».
PROCURATORE
Ora proviamo a dirlo noi, magari male: la mafia, che in realtà si chiamava Cosa Nostra e basta, fu appunto sconfitta negli anni Novanta. Il frutto più prezioso della permanenza in Sicilia del procuratore Giancarlo Caselli furono le catture di importantissimi boss latitanti e degli autori materiali della strage di Capaci (tra questi: Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Gaspare Spatuzza) oltre al numero impressionante di ergastoli inflitti dal 1993 alle soglie del nuovo millennio, e i circa 1.500 criminali che divennero collaboratori di giustizia e che purtroppo sollevarono seri problemi circa la loro credibilità.
IL FRONTE
Ma il fronte antimafia piuNlvicino a Caselli fu anche quello che trasformò l’Antimafia in religione e che pure trasformò ogni auspicio di «normalità» in dolosa strategia di «normalizzazione», intesa come base di un improbabile ritorno di Cosa nostra. Il legalismo fu eletto a credenza etica, a velleitaria pretesa che una società fosse purificabile a suon di ordinanze giudiziarie sorrette da cortei e piazze televisive. Ma poi, tramortita per sempre la vera mafia, l’Antimafia fallirà tutti i suoi processi di cosiddetto terzo livello: il senatore Giulio Andreotti, il giudice Corrado Carnevale, i citati eroi dei Ros a cui va aggiunto il tenente Carmelo Canale, uomo di fiducia di Paolo Borsellino, poi il religiosi Padre Mario Frittitta e Salvatore Cassisa, i penalisti Francesco Musotto e Filiberto Scalone, il ministro Calogero Mannino, senza contarne infiniti altri o gli infiniti tentativi di processare Silvio Berlusconi per le stragi del 1992 e 1993. Tutta gente assolta o prosciolta.
POLTRONIFICIO
L’esistenza del latitante Matteo Messina Denaro serviva a giustificare in ultimissima istanza l’esistenza delle strutture antimafia e l’antimafia in generale, che oggi, per come è disegnata, non serve più a niente ed è solo un poltronificio. Vale anche per certi giornalisti mafiologi di tanti importanti quotidiani. Vale soprattutto per la commissione parlamentare antimafia, che dal 1962 macina carta ed è ancora ufficialmente un organo della Procura generale presso la Cassazione, ma non serve, al pari delle associazioni antimafia che vengono sovvenzionate dai ministeri dell’Interno e dell’Istruzione: servono solo a tenere occupati dei nullafacenti. E a proposito di nulla, ecco il titolo – uno solo, tra altri giornali – del Fatto Quotidiano di ieri: «L’archivio di Riina e la Trattativa: i segreti che Matteo Messina Denaro portava con sé». E nulla è più segreto di un segreto che non è mai esistito.