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Tassare le banche italiane? Non è un'eresia ma attenti a tirare troppo la corda

Gianluigi Paragone

Gianluigi Paragone
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«L’esercito del mondo delle banche è in manovra», apprendo dal quotidiano La Stampa. E non faccio fatica a crederlo: «L’obiettivo è cambiare la tassa sugli extraprofitti degli istituti di credito. Quando? Il prima possibile (...) Al lavoro ci sono alcuni tra i più noti professionisti legali del settore». Insomma il mondo del credito è parecchio infastidito dalla mossa di Giorgia Meloni immediatamente sposata da Salvini; è come se palazzo Chigi avesse violato uno spazio sacro, senza un accordo preventivo. E ora quel mondo solitamente avvezzo ai velluti prepara la guerra tra lobbismo, pareri e azioni legali che surfano tra «i punti grigi» del decreto e le violazioni di legge e pure della Costituzione. Un po’ come stanno facendo pure le compagnie aeree low cost: tutti da mamma von der Leyen.

È bello sapere che il mondo bancario sia così attento alle ragioni del diritto e alla correttezza perché finora avevamo avuto una percezione assolutamente errata (certi pregiudizi, mannaggia...) e che l’azione di incoraggiamento e di tutela del risparmio variassero rispetto alle forze in campo. Ora che dunque abbiamo chiaro il nobile intento delle banche e dei loro blasonati studi legali, ci permettiamo di chiedere alcuni chiarimenti rispetto a questioni che ballano anche nei tribunali italiani ma che soprattutto stanno facendo impazzire una platea di professionisti, di imprenditori e famiglie alle prese con contenziosi rispetto a importi non dovuti e su cui invece le banche battono cassa. Per esempio non mi torna quanto segue: con tutte le migliaia di cause bancarie in Italia in cui le banche vengono condannate (lo so, fatichiamo a crederci perché sui giornali certe notizie non si leggono mai...) a chiedere meno soldi di quelli che chiedono formalmente nei tribunali, come giustificano contabilmente quei soldi che non avrebbero potuto chiedere? E non solo.

Se le banche vengono quasi sempre condannate a pretendere meno soldi rispetto a quelli che chiedono formalmente (se non addirittura condannate per usura), mi domando come questo sia possibile visto che tutto gira su software informatici: sono i software farlocchi o sono le banche a modificarli dopo averli ricevuti? A questo punto, è interessante sapere, rispetto ai software informatici in uso, quali azioni correttive fanno le banche dopo che sono condannate a rivedere i saldi creditori che vantano nei contenziosi nei tribunali: azioni di rivalsa contro le software house? Cambio del software? O nulla (e così continuano a usare software fallaci ovvero artati per permettere la ripetizione dell’illecito)? Visto che le banche e la politica si stanno fronteggiando, fornisco un elemento fiscale: come mai le banche lucrano sull’imposta sostitutiva anziché traslarla unicamente ai ricorrenti al credito? In altre parole: chi ci sta guadagnando e chi perdendo?

Infine, se gli estratti conto corrente sono appunto un “estratto dati” dal conto corrente, com’è possibile che i saldi degli estratti conto corrente non siano corretti, mentre lo possano essere i dati in matrice da cui verrebbero estratti? Infatti nelle cause bancarie di conto corrente si guardano sempre gli estratti, ma mai l’oggetto di estrazione. Ovviamente avremmo anche tante altre questioni su cui chiedere di far luce e visto che le banche pretendono di avere giustizia rispetto alla (presunta) ingiustizia del decreto, andremo avanti anche noi. Se il governo volesse riequilibrare i rapporti di forza tra il mondo bancario e i risparmiatori avrebbe tutte le leve per andare alla trattativa. E se fossi nelle banche e nei loro studi legali starei ben attento a non tirare eccessivamente la corda, perché nell’economia reale stanno aumentando coloro che non hanno più voglia di pagare pure i conti degli altri. E se stupiscono gli scontrini pazzi di questa estate, nelle banche di scontrini pazzi ce ne sono tanti tanti... Chissà perché però sui giornali non ci finiscono.

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