Gli anni ’80 in Italia cominciano nel 1979: società e cultura, come spesso accade, arrivano prima della politica. Non è ancora finita la linea di sangue che tragicamente attraversa il paese, però che le cose stiano cambiando, anzi ci sia volontà di farle cambiare, è segnale apparso in evidente in almeno tre episodi accaduti proprio in quel 1979. Il primo riguarda l’arte, con cinque giovani pittori - Chia, Clemente, Cucchi, De Maria, Paladino - presentati dal critico Achille Bonito Oliva come la Transavanguardia, ovvero la rivincita della pittura figurativa dopo un decennio abbondante di arte concettuale dal taglio ideologico. Si ritrovano così la piacevolezza, il colore, e il rapporto con la storia non è più conflittuale ma dialettico. Siamo alle soglie del postmoderno, ovvero il segno dell’estetica anni ’80 nella cultura visiva. Il secondo ha a che fare con la musica rock internazionale, che il terrorismo aveva allontanato dall’Italia considerata un luogo molto pericoloso. Per diversi anni gruppi e solisti angloamericani rifiutano di esibirsi, fino al settembre ’79, quando la sacerdotessa del punk Patti Smith, al culmine della popolarità, totalizza 150mila persone negli stadi di Bologna e Firenze, tanta è la voglia di suoni e di riti collettivi di un Paese che non ne può più del terrore e della morte.
L’ANALISI
Il terzo, e forse il più significativo, si spiega con la pubblicazione per Garzanti del più celebre saggio di Francesco Alberoni, Innamoramento e amore. Sarà stato per il titolo o per l’argomento, ma il fatto che un testo di un sociologo diventi un long-seller popolare, tradotto in 25 lingue senza per questo ridurne la complessità, è decisamente un evento raro. Quando arriva al successo Alberoni ha già alle spalle decine di pubblicazioni su questioni non proprio semplici, analizza il divismo, il rapporto tra televisione e società, discute di politica, in un’epoca in cui il “politico” è il soggetto primario e obbligatorio di ogni speculazione. Nel post Sessantotto a sinistra si utilizzava la frase attribuita alla femminista Carol Hanisch, «il personale è politico», mentre con Alberoni assistiamo a un rovesciamento epocale, è il sentimento di coppia a essere al centro della riflessione; dunque, uno stato d’animo e una modalità di comportamenti che riguarda il privato e può investire la sfera sociale senza però l’obbligatorietà di prima. Il libro che, insomma, cade al momento giusto e nell’estate 1979 lo si trova sotto l’ombrellone, se ne parla tra amici, si discute su quella differenza niente affatto sottile tra l’innamoramento, periodo molto limitato che prevede uno stato nascente, accensione del tutto particolare e imprevista, e l’amore, sentimento duraturo, applicabile a una casistica di rapporti molto più ampia, tra genitori e figli, fratelli, amici. Non ci si può innamorare- secondo Alberoni - di due persone contemporaneamente, mentre un figlio lo ami per tutta la vita e i loro genitori potranno amarsi a lungo pur sapendo di non provare più quella miracolosa scintilla dell’inizio; per innamorarsi bisogna essere predisposti a mettersi in gioco, non si tollera l’assenza dell’altro, si vive insomma in uno stato di grazia che non dura in eterno ma viene sostituito da altro, comunque nobile.
IL CAMBIAMENTO
Il fenomeno editoriale di Innamoramento e amore apre la strada alla sociologia pop o se vogliamo al riconoscimento di una disciplina, così specialistica e “politica”, applicabile alla vita di tutti i giorni, con i quali strumenti avremmo potuto capire meglio qualcosa di noi. Discutere di questioni appartenenti alla sfera della vita privata era considerato allora reazionario e borghese e Alberoni coglie l’Italia nel momento in cui sta praticando il maggior sforzo di cambiamento dopo il periodo più difficile dal dopoguerra in poi. Poiché le date contano più delle coincidenze, nel 1980 scompare il filosofo tedesco Eric Fromm di cui Il Saggiatore aveva da poco ripubblicato L’arte di amare (testo originale del 1957) a conferma di quanto le questioni del cuore stessero soppiantando il trito ideologismo degli anni Settanta. E sempre nel 1980 esce Il nome della rosa, planetario successo di Umberto Eco, altra spia dell’inedito interesse per il Made in Italy che negli anni ’80 si espliciterà, oltre che nella letteratura, nell’arte, nella moda, nell’architettura e nel design. Il grande sociologo, scomparso negli scorsi giorni, fu dunque rabdomantico nel capire che la società stava cambiando e scrisse il suo libro più famoso, che certo non esclude altri lavori importanti, ma che mette un punto definitivo sull’Italia all’ingresso dell’era contemporanea.