Alla proposta di introdurre un salario minimo di 9 euro l’ora avanzata dalle opposizioni il governo ha risposto con un rilancio: affrontare il problema assieme a quelli dei contratti pirata, del lavoro nero, della bassa produttività, dei ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi e del cuneo fiscale. «La Cisl accetta questa sfida», dice il segretario Luigi Sbarra. Convinto, anche lui, che il salario minimo sia solo un aspetto della battaglia contro la povertà del lavoro, e che il passaggio al Cnel e poi in parlamento possa essere l’occasione per introdurre la partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese, storica proposta della Cisl che sta facendo breccia nella maggioranza.
«Abbiamo un’occasione fondamentale per affrontare con spirito bipartisan i temi del lavoro povero, della precarietà e della questione salariale», dice Sbarra a Libero. «Nodi che richiedono una strategia comune tra politica, sindacati e imprese e non si risolvono solo con una discussione sul salario minimo. Bisogna abbassare le tasse sui lavoratori e i pensionati, sbloccare gli investimenti per sostenere la crescita economica del Paese, elevare e redistribuire ricchezza e produttività, rinnovare tutti i contratti, combattere evasione ed elusione fiscale. Su questi argomenti si misura il grado di responsabilità del nostro sistema politico. Non sono ammessi divisioni strumentali, demagogia o populismi».
Vista l’incapacità delle forze politiche di trovare una proposta condivisa da cui partire, sarà il Cnel di Renato Brunetta a formularla nel giro di un paio di mesi, dopo aver fatto una diagnosi dei problemi. Sono la sede e il metodo giusti?
«Il Cnel è un luogo neutro e istituzionalmente adatto ad avviare un dialogo che metta insieme i contributi di maggioranza, opposizione e parti sociali. Lì bisognerà focalizzare rapidamente una rotta condivisa per assicurare salari dignitosi attraverso la copertura dei contratti leader a tutti i lavoratori, senza esclusione».
Con quali strumenti?
«Anche, ma non solo, con una norma che rafforzi ed estenda i contenuti dei contratti collettivi nazionali di lavoro prevalenti ai pochi settori non ancora coperti.
Però bisogna essere consapevoli che per fronteggiare il problema dei “working poors” e dei salari bassi non è sufficiente qualche articolo sulla Gazzetta ufficiale: bisogna far applicare i contratti leader e maggiormente diffusi, contrastare ipart-time involontari, aumentare le ispezioni per le false partite Iva e il parasubordinato, il sommerso e il lavoro nero, le cooperative spurie e i tanti fasulli tirocini extracurricolari».
Dei problemi del lavoro indicati dal governo, qual è quello che la preoccupa di più?
«Il problema principale resta tutelare i redditi falcidiati dall’inflazione. E per risolverlo bisogna costruire insieme una controffensiva al carovita attivando una cabina di regia che metta in relazione governo, sindacati e imprese nel contrasto alla speculazione, nel controllo di prezzi e tariffe e nell’impegno reciproco di rinnovare e innovare tutti i contratti pubblici e privati, azzerando la tassazione sui frutti della contrattazione».
La vostra proposta di legge per introdurre la partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese piace alla maggioranza e probabilmente entrerà nel pacchetto in discussione al Cnel. Cosa dovrebbe portare ai lavoratori?
«Confermo: la nostra proposta sta ricevendo attenzione crescente ed apprezzamenti non solo tra i cittadini ed i lavoratori, ma anche nel mondo accademico, imprenditoriale e politico. La partecipazione dei lavoratori alla vita e agli utili delle imprese è una “riforma istituzionale” che può farci recuperare gli annidi immobilismo che hanno frenato competitività, investimenti e retribuzioni. Creare un nuovo equilibrio tra impresa e lavoro serve ad avere salari più alti, stabilità dell’occupazione, rilancio della formazione, sicurezza negli ambienti lavorativi, applicazione dei buoni contratti, riduzione degli orari di lavoro e maggiore produttività».
Cosa si aspetta di trovare nei provvedimenti che il governo presenterà assieme alla legge di bilancio?
«Serve una manovra espansiva, preceduta da un’intesa che avvii una nuova politica dei redditi. In Finanziaria dobbiamo muoverci verso la conferma strutturale della riduzione del cuneo contributivo e la detassazione delle tredicesime da fare a scaglioni, in modo da rendere l’intervento progressivo e ridistributivo. Ci aspettiamo anche l’azzeramento del prelievo sui frutti della contrattazione di secondo livello. Altrettanto importanti sono forti interventi nell’istruzione, nel pubblico impiego e sulle politiche attive per il lavoro, collegate ad un piano per la formazione e la crescita delle competenze. Occorre un potente investimento sulla sanità pubblica, per sbloccare assunzioni di medici e infermieri, stabilizzare il precariato, tagliare le liste di attesa, migliorare la medicina di prossimità, integrare i servizi socio-sanitari-assistenziali per assicurare i diritti di cittadinanza in ogni territorio. Ed è necessaria una nuova riforma della previdenza, per rendere il sistema più flessibile, sostenibile ed inclusivo verso i giovani e le donne».
Per queste cose servono soldi. Tanti. Il suo sindacato si è detto favorevole al prelievo una tantum sugli extraprofitti delle banche e chiede di estendere la misura ad altri settori. Quali?
«È da tempo che chiediamo di introdurre un contributo di solidarietà su realtà che in questi anni hanno avuto fatturati d’oro, redistribuendo ogni euro recuperato sui redditi di famiglie, lavoratori e pensionati falcidiati dal carovita. Pensiamo che questo meccanismo vada allargato alle grandi multinazionali del digitale, della logistica, della farmaceutica».
Non crede che simili provvedimenti tengano i grandi gruppi stranieri lontani dall’Italia?
«Ripeto: bisogna ragionare in uno spirito di solidarietà. In ogni caso non vedo questo rischio. Altrimenti bisognerebbe issare bandiera bianca anche sulla “global minimum tax” voluta dall’Unione europea e dal G20. È una questione di giustizia fiscale e di equa redistribuzione del reddito. I lavoratori ed i pensionati pagano fino all’ultimo centesimo con la ritenuta alla fonte e le famiglie hanno tirato la cinghia in questi anni, a causa dei redditi mangiati dell’inflazione e dei fenomeni speculativi. Non possono più dare, adesso tocca ad altri».
E la Cisl che farà questo autunno, mentre la Cgil scenderà in piazza per protestare?
«Noi restiamo fermamente convinti che questo sia il momento di dar spazio e credito ai negoziati in tutti i tavoli aperti, che non sono né pochi né finti. È lì, nel confronto senza pregiudizi, nell’incalzare ogni giorno il governo sulle nostre proposte, che si esercita la nostra funzione sindacale. Continueremo sino a fine novembre, in tutti i luoghi di lavoro e nei territori, a raccogliere le firme sulla nostra proposta di legge sulla partecipazione. E a settembre partirà il percorso della nostra assemblea organizzativa e presenteremo proposte concrete contro la precarietà e il lavoro povero».
Niente conflitto?
«Dare spazio al dialogo non vuol dire rinunciare al conflitto. Significa però ricorrervi solo in caso il negoziato si rompa o non porti a nulla. Faremo il bilancio a tempo debito, senza sconti, guardando al merito e ai contenuti della manovra».