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Feltri e il bimbo abbandonato tra i rifiuti: orribile, cosa possiamo fare

lunedì 14 agosto 2023

4' di lettura

I numeri danno i brividi: ogni anno, soltanto in Italia, sarebbero circa 3 mila i neonati abbandonati alla nascita, di questi solamente 400 si salvano poiché lasciati nelle strutture sanitarie. Per ogni piccolo messo al sicuro altri 10 muoiono senza che ve ne sia alcuna traccia. Questi ultimi, infatti, vengono uccisi in casa e poi sepolti chissà dove, o gettati nelle discariche, magari ancora in vita, oppure in luoghi degradati o deserti, dove non vi è speranza che anima si accorga di loro. Sono così condannati a morte, e che morte! Nemmeno vengono al mondo e già sperimentano sulla loro pelle la parte peggiore dell’umanità. È un paradosso eppure il bimbo trovato ieri mattina nel centro di Taranto, tra i sacchi dell’immondizia, pur avendo conosciuto la tragedia del rifiuto, è fortunato rispetto a coloro che nascono e crepano nel giro di pochi minuti o poche ore. Considero questo fatto quasi per consolarmi della stretta al cuore che mi ha dato questa notizia. Nonostante i miei sessant’anni di professione determinati eventi di cronaca non cessano di sconvolgermi, anzi, accade che mi turbino addirittura oggi più di ieri.

Già mi disgusta l’abbandono di un cane o di un gatto, la cui fiducia viene tradita proprio dalla persona che una bestia più è portata ad amare e sulla quale - unica - ripone fiducia, figuriamoci se ad essere respinto è un infante. Se potessi lo accoglierei in casa mia questo fagottino, provvederei io a lui, non gli farei certo mancare nulla di quello che gli è stato dal principio negato. Ma so che non è possibile, che ci sono delle procedure, degli standard. Questo bambino sarà comunque amato dai suoi genitori adottivi e sarà un fanciullo gaio. Tali episodi devono condurci però a compiere delle riflessioni. Sebbene rispetto alla fine dell’Ottocento, quando erano circa 40 mila ogni anno, la quota dei neonati abbandonati e per questo trapassati è vergognosamente alta, in un Paese per di più che consente alle donne, in totale anonimato, di potere consegnare il proprio figlio a strutture apposite, a chi se ne possa prendere cura.

Cosa non funziona? Cosa possiamo fare di più perché non avvengano drammi simili? Noi giornalisti, ad esempio, potremmo insistere con l’informazione, spiegare che esiste la possibilità di partorire in sicurezza e di dare subito dopo in adozione la creatura, che basta rivolgersi all’ospedale, chiedere aiuto. A volte penso che chi abbandona sia stato a sua volta abbandonato, o che comunque in qualche maniera così si senta. Forse è per questo che non riesco ad essere crudele, spietato, duro, nel giudicare quella mamma (ammesso che il gesto sia scaturito da una sua volontà e non sia stato a lei imposto da altri e quindi patito) che ha messo il suo piccoletto in quella busta, a pochi minuti da un parto verificatosi all’alba, magari affrontato da sola. Intendiamoci: ha fatto qualcosa di terribile, disgustoso, atroce. Ma mi chiedo: c’era forse in lei la speranza che un passante si rendesse conto che lì, in quel sacchetto, con accanto un pupazzetto di peluche e una copertina c’era un bambino pieno di voglia di vivere, di sopravvivere? Pieno di bisogno d’amore. la parte peggiore dell’umanità. È un paradosso eppure il bimbo trovato ieri mattina nel centro di Taranto, tra i sacchi dell’immondizia, pur avendo conosciuto la tragedia del rifiuto, è fortunato rispetto a coloro che nascono e crepano nel giro di pochi minuti o poche ore. Considero questo fatto quasi per consolarmi della stretta al cuore che mi ha dato questa notizia. Nonostante i miei sessant’anni di professione determinati eventi di cronaca non cessano di sconvolgermi, anzi, accade che mi turbino addirittura oggi più di ieri.

Già mi disgusta l’abbandono di un cane o di un gatto, la cui fiducia viene tradita proprio dalla persona che una bestia più è portata ad amare e sulla quale - unica - ripone fiducia, figuriamoci se ad essere respinto è un infante. Se potessi lo accoglierei in casa mia questo fagottino, provvederei io a lui, non gli farei certo mancare nulla di quello che gli è stato dal principio negato. Ma so che non è possibile, che ci sono delle procedure, degli standard. Questo bambino sarà comunque amato dai suoi genitori adottivi e sarà un fanciullo gaio. Tali episodi devono condurci però a compiere delle riflessioni. Sebbene rispetto alla fine dell’Ottocento, quando erano circa 40 mila ogni anno, la quota dei neonati abbandonati e per questo trapassati è vergognosamente alta, in un Paese per di più che consente alle donne, in totale anonimato, di potere consegnare il proprio figlio a strutture apposite, a chi se ne possa prendere cura.

Cosa non funziona? Cosa possiamo fare di più perché non avvengano drammi simili? Noi giornalisti, ad esempio, potremmo insistere con l’informazione, spiegare che esiste la possibilità di partorire in sicurezza e di dare subito dopo in adozione la creatura, che basta rivolgersi all’ospedale, chiedere aiuto. A volte penso che chi abbandona sia stato a sua volta abbandonato, o che comunque in qualche maniera così si senta. Forse è per questo che non riesco ad essere crudele, spietato, duro, nel giudicare quella mamma (ammesso che il gesto sia scaturito da una sua volontà e non sia stato a lei imposto da altri e quindi patito) che ha messo il suo piccoletto in quella busta, a pochi minuti da un parto verificatosi all’alba, magari affrontato da sola. Intendiamoci: ha fatto qualcosa di terribile, disgustoso, atroce. Ma mi chiedo: c’era forse in lei la speranza che un passante si rendesse conto che lì, in quel sacchetto, con accanto un pupazzetto di peluche e una copertina c’era un bambino pieno di voglia di vivere, di sopravvivere? Pieno di bisogno d’amore.

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