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Salario minimo, il meloniano Rizzetto: "Perché dico no"

di Antonio Rapisarda lunedì 14 agosto 2023

3' di lettura

Messaggio a Conte e Schlein: «Aizzare il malcontento non serve proprio a nessuno: nemmeno all’opposizione». Per Walter Rizzetto, presidente della Commissione Lavoro di Montecitorio e uomo forte di FdI nel Nordest produttivo, in questo momento serve discutere, anche in modo animato, per cercare soluzioni concrete sul nodo della politica salariale. «Ed è quello che è stato fatto dal governo incontrando i leader del centrosinistra: sui contenuti».

Mai in effetti, in dieci annidi opposizione, Meloni era stata chiamata a discutere una sua proposta... 
«È un grande passo avanti, che dimostra una capacità politica notevole. In questa fase così delicata serve mantenere la calma, seppur dibattendo. Noi stiamo lavorando per raggiungere risultati nell’interesse di tutti, non per una campagna elettorale estiva».
Sabato Meloni ha rinnovato l’appello per arrivare a una proposta condivisa contro il lavoro povero. Lo ritiene possibile? 
«Penso che oltre che possibile sia auspicabile. Con la sospensiva abbiamo rimandato il provvedimento in commissione Lavoro. Quest’ultima sarà impegnata, insieme al ministero del Lavoro e a un attore importante come il Cnel, depositario di quasi mille contratti collettivi, a fotografare meglio la proposta delle opposizioni – che a mio avviso è carente sotto diversi punti di vista – per poi cercare di applicare, da parte della maggioranza, una sorta di corollario di iniziative che vadano ad aumentare gli stipendi dei lavoratori. Soprattutto quelli che guadagnano meno».
Tutto ciò non passerà però dal salario minimo. Perché? 
«Perché stabilire una cifra, a maggior ragione se viene stabilita dalla politica, è sbagliato. Innanzitutto perché la stessa non può essere applicata ovunque. Esiste la contrattazione collettiva normata dall’art. 39 della Costituzione proprio perché ci sono dei corpi intermedi che discutendo, settore per settore, stabiliscono delle cifre. In seconda battuta perché con la proposta di 9 euro lordi l’ora potrebbe venire l’idea a qualcuno di abbandonare il contratto collettivo – che prevede, quasi sempre, più di quella cifra “minima” – per affidarsi a una legge votata dal Parlamento. Abbassando quindi, paradossalmente, gli stipendi».
La maggioranza sta lavorando a diverse proposte. Per andare dove? 
«Per andare ad applicare una defiscalizzazione rispetto ai rinnovi contrattuali. Per andare ad aprire, poi, un focus molto profondo, rispetto a tutto quello che è oggi l’appalto, il sub-appalto, soprattutto riferito alla Pa: gare al massimo ribasso vedasi. Per andare ad estendere il welfare aziendale anche ad imprese piccole. Ed infine per reperire le risorse necessarie per un taglio strutturale del cuneo fiscale. Perché quando noi applichiamo un taglio fino a sette punti per i redditi bassi aumentiamo le buste paga più di 9 euro l’ora...».
In autunno partirà la riforma per superare il reddito di cittadinanza. Pronti?
«I dati ci stanno dando ragione. La ripresa dell’occupazione, la ripresa delle attività, molto banalmente la ripresa anche della ricerca del posto di lavoro: questo solco ci dice che abbiamo fatto questa operazione nella fase giusta. Ci sono aziende che cercano dipendenti, disoccupati che cercano lavoro. Dobbiamo creare una piattaforma fra domanda e offerta che sia fruibile da parte di tutti, aiutare le agenzie per il lavoro, i centri pubblici per l’impiego perché noi – come dice anche la Carta – siamo una Repubblica fondata sul lavoro non sull’assistenza perpetua. Il reddito di cittadinanza, già nel suo atto costitutivo, veniva definito una fase sperimentale: questa fase è terminata. Adesso serve creare e mantenere posti di lavoro». 

 

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