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Ufficio, si parla in inglese ma agli italiani non piace: il sondaggio

di Franco Sani martedì 8 agosto 2023

3' di lettura

Conoscere l’inglese a lavoro è importante ma utilizzare certi anglicismi e neologismi può infastidire i lavoratori. È questo l’esito del sondaggio condotto da Preply, piattaforma globale per l’apprendimento delle lingue, su oltre 1000 lavoratori italiani. Lo studio è stato svolto per comprendere quali sono i termini di origine anglofona e i neologismi più utilizzati a lavoro dagli italiani, il cosiddetto “Business Jargon” o gergo aziendale. L’obbiettivo principale era quello di verificare quanto gli italiani apprezzino l’uso comune di questi termini negli uffici e nelle conversazioni.

«Se usato con moderazione il Business Jargon è utile, velocizza il lavoro e facilita la comunicazione con i colleghi», si legge sul sito di Preply. «Tuttavia, il recente e impetuoso ingresso nel parlato e nello scritto di questi anglicismi e neologismi non ha dato il tempo a gran parte delle persone di impararli, generando a volte malintesi e un senso di insoddisfazione generale tra chi non padroneggia ancora il gergo». Il sondaggio ha valutato quante volte gli italiani utilizzano anglicismi in ufficio durante il giorno. È emerso che gli intervistati utilizzano in media circa 9 anglicismi durante la giornata. In particolare, quasi un terzo delle persone (28%) li utilizza poco fino a 5 volte al giorno e circa la metà delle persone (49%) li usa tra le 6 e le 10 volte al giorno nelle mail, nelle telefonate o nelle conversazioni. È raro che gli italiani non utilizzino mai termini inglesi (3%) ma sono molto pochi anche gli intervistati che utilizzano anglicismi più di 10 volte al giorno (13% tra le 11 e 20 volte, 6% tra le 20 e le 25 e 1% sopra le 25 volte).

Generalmente si può osservare come la maggior parte delle persone che utilizzano più frequentemente questa terminologia è nel settore manifatturiero (13 volte) e delle risorse umane (12 volte) e il contesto in cui gli anglicismi sono utilizzati più frequente sono le e-mail (35%), seguite dalle riunioni (33%) e dalle conversazioni al cellulare per ultime (18%). Tra tutti gli intervistati emerge comunque che un quarto dei lavoratori preferirebbe usare sinonimi o espressioni equivalenti in italiano per limitare il più possibile l’uso di parole inglesi anche se il 15% di questi non conosce l’equivalente italiano dei termini inglesi che vorrebbe sostituire. Ma quali sono allora gli anglicismi più utilizzati e i più odiati dagli italiani? Il più popolare è sicuramente team, che indica il gruppo di lavoro utilizzato dal 39% degli intervistati, seguito da meeting, ovvero riunione con il 37% e feedback (35%) usato dagli italiani per fare riferimento a un riscontro ricevuto (o fornito) su materiali, e-mail o domande specifiche.

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Nonostante sia diventata un’abitudine utilizzare alcuni termini inglesi nel linguaggio comune ci sono però alcuni anglicismi che non incontrano il favore di tutti. Il più fastidioso per gli intervistati è ASAP, acronimo di “As Soon As Possible”, che abbrevia la dicitura “il prima possibile” e si adopera generalmente nelle comunicazioni scritte (email e messaggi) e non piace al 13% degli italiani. Seguono poi briefing, tradotto in breve riunione di lavoro con il 12% e il più tradizionale “call” chiamata di lavoro con 11%. La parola meno seccante invece risulta essere Topic, tradotto in argomento sgradita solo al 4,3% degli intervistati. Oltre agli anglicismi gli italiani sono stati interrogati anche sull’utilizzo dei neologismi, parole nuove che derivano dall’inglese a cui sono stati affiancati prefissi o suffissi italiani, dando vita a vocaboli originali.

Nei confronti di questi termini gli italiani si sono mostrati insofferenti. Il più odiato è “brieffare”, che vuol dire dare istruzioni, un italiano su tre non lo tollera. A seguire gli italiani detestano “sharare”, tradotto in condividere e “downloadare” , tradotto in scaricare. Il più tollerato è invece reportistica che infastidisce soltanto il 6% degli intervistati. «Abbiamo voluto indagare come viene utilizzata la lingua del business, l’inglese, in diverse parti del mondo», dichiara Daniele Saccardi, Campaign Lead di Preply. «Soprattutto in Italia», aggiunge, «con l’attenzione che di recente c’è stata sull’uso di parole non italiane in documenti e contesti ufficiali, ci sembrava una ricerca pertinente».

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