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Berlusconi mandante delle stragi, il professor Lupo: "Teorema già smentito dai fatti"

Annalisa Chirico
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«Il dibattito pubblico è intossicato», esordisce così il professore Salvatore Lupo, ordinario di Storia contemporanea all’Università di Palermo e coautore, con Giovanni Fiandaca, di un memorabile saggio dal titolo La mafia non ha vinto. A distanza di trent’anni torna lo spettro del “mandante politico” e Marina Berlusconi scrive una lettera per difendere la memoria del padre, «perseguitato anche da morto». «È il segno di un dibattito intossicato a livelli inverosimili», dice il professore Lupo. «La procura di Firenze torna a indagare su un teorema che è stato smentito dai fatti. Ormai questa storia viene riproposta ciclicamente, con l’eco mediatica del caso. A meno che i pm non abbiano raccolto elementi nuovi che tengono in gran segreto, allo stato della conoscenza attuale possiamo dire che la tesi di un Berlusconi mandante delle stragi del ’93-94 non sembra ragionevole, e di sicuro non è dimostrata». 

 

 

 


Lei dice: o c’è qualcosa di dirompente, e ignoto, o è la solita solfa.
«Io dico che bisogna smetterla con il complottismo su quella fase storica. Basterebbe guardare i risultati elettorali del 1994 per capire che non c’era bisogno di alcuna strage mafiosa per ottenere la vittoria di Silvio Berlusconi. Non c’è bisogno di alcun complotto per spiegare il successo di Berlusconi. È cosa risaputa».
Eppure, professore, la procura di Firenze impiega risorse pubbliche per insistere, dopo tre decenni, su un filone che non ha portato a nulla. 
«La vicenda della cosiddetta trattativa Stato-mafia si è protratta fino a poco tempo fa, e i corpi dello Stato, raggiunti da gravissime accuse, ne sono usciti tutti assolti. In molti casi più che di processi sarebbe opportuno parlare di intrighi e complotti. Il complottismo è un male atavico a cui nessuna parte politica è immune».
Che pensa del reato di concorso esterno? Se ne può fare a meno? 
«La posizione del ministro Carlo Nordio non è la mia. Dal punto di vista sostanziale, il reato di associazione mafiosa non può essere limitato soltanto a chi ha prestato giuramento con il sangue, esistono diversi gradi di appartenenza a un’associazione mafiosa, capisco che i magistrati debbano poter perseguire anche persone non strettamente affiliate».

 

 

 


Mercoledì si terrà la commemorazione della strage di via D’Amelio. Il fratello di Paolo Borsellino ha espresso riserve sulla presenza delle istituzioni ma la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha fatto sapere che ci sarà.  
«La privatizzazione del lutto non è condivisibile. La famiglia può dire quello che vuole, ci mancherebbe, ma la figura di Paolo Borsellino appartiene alla memoria collettiva del Paese. È un lutto della Repubblica».
In questi anni molte icone antimafiose sono crollate. Oggi l’antimafia come se la passa?
«Dal momento più terribile dell’offensiva mafiosa, culminata negli anni Novanta del secolo scorso, sono passati trent’anni. Diverse figure che avevano cavalcato quella stagione sono passate anch’esse, e alcune hanno lasciato dietro di sé solo macerie. Se antimafia dev’essere, com’è giusto che sia, non può essere più quella di un tempo. Non si possono riproporre i medesimi spettri e complotti, bisogna smetterla con la demagogia. Il nostro Paese deve potersi difendere dalla mafia presente e futura sapendo che essa è diversa da quella di ieri. Le difese non vanno smantellate ma aggiornate e rafforzate». 

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