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Macron, il retroscena: perché al galletto serve Giorgia Meloni

Fausto Carioti
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Ciò che divide è tanto, ma quello che unisce è comunque di più. Lo confermano il sistema di difesa missilistico italo -francese Samp-T, appena entrato in funzione in Ucraina, il comune interesse a mettere sotto controllo la frontiera del Mediterraneo, i 111 miliardi di euro di interscambio commerciale e i tanti dossier industriali e finanziari intrecciati, tra cui quelli delle italiane Tim e Mediaset, di cui è azionista il gruppo francese Vivendi. Così ci si riprova, allons. Sforzando di mettersi alle spalle certe frasi sciagurate pronunciate dai ministri francesi.

Prima volta della premier italiana all’Eliseo, dunque, dove si è intrattenuta con Emmanuel Macron per un’ora e 40 minuti. La vera meta del viaggio a Parigi era la sede del Bureau International des Expositions, per presentare assieme al governatore del Lazio, Francesco Rocca, e al sindaco Roberto Gualtieri, la candidatura di Roma come sede dell’Expo 2030, sfidando la Corea del Sud, che punta sulla città di Busan, e l’Arabia Saudita, che candida Riad (con l’appoggio della Francia, confermato ieri). Ma andare lì e non incontrarsi con Macron avrebbe inviato al resto del mondo un pessimo segnale e sarebbe stato stupido, perché l’interesse a ristabilire buoni rapporti bilaterali è comune, anche se stavolta ad averne bisogno è soprattutto la Francia.

È diversa la forza attuale dei due leader, intanto. Macron è al secondo ed ultimo mandato alla presidenza, non ha designato successori e rischia così di lasciare senza punti di riferimento il suo gruppo in Europa, quello di Renew Europe, sulla cui tenuta, oggi, nessuno a Bruxelles scommette. La Meloni è appena arrivata sulla scena e potrebbe restarci a lungo, ora che tutti hanno capito che il disegno di trattare il suo governo come un incidente della Storia è fallito. E il gruppo dei Conservatori europei, da lei presieduto, nel prossimo parlamento di Strasburgo sarà una forza che gli altri schieramenti non potranno ignorare: nemmeno i liberali di Renew Europe, che pure giurano di non voler fare alcuna alleanza con i Conservatori.

IL DEBITO FRANCESE
È soprattutto l’economia che spinge Macron ad invocare, come ha fatto ieri, «quel rapporto così unico che esiste tra l’Italia e la Francia, quest’amicizia che mi interessa prima di tutto». La situazione è fotografata bene da Lars Feld, consigliere del ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner, il quale rimarca che esiste «una differenza molto grande» fra i due Stati: «In Italia la volontà di mettere a posto i conti c’è. In Francia questa volontà non c’è più dagli anni Ottanta. Quello che ha fatto finora la signora Meloni dal punto di vista della politica economica e finanziaria dà speranza».

A differenza dell’Italia, insomma, la Francia sta facendo finanza allegra, tanto che il suo debito pubblico ha superato il 111% del Pil. Macron ha capito quindi che è il caso di fare squadra con il governo di Roma, contro quello di Berlino e gli altri “rigoristi”, per cambiare il patto di stabilità europeo: non a caso, uno dei temi su cui i due si sono intrattenuti più a lungo. Al termine, parlando insieme al presidente francese, la Meloni ha detto che «sulla riforma del Patto di stabilità noi non possiamo consentire che tornino parametri che oggi sarebbero assolutamente inadeguati ad affrontare l’attuale situazione. Gli investimenti sulle materie strategiche non possono essere considerati come tutti gli altri. È un’altra materia su cui siamo d’accordo».

SOVRANITÀ INDUSTRIALE
Legato a questo tema è quello della “sovranità della produzione”. I due leader sono convinti che le produzioni strategiche, come quella alimentare, dell’elettronica avanzata e farmaceutica, non possano più essere appaltate fuori dai confini europei, e che occorra quindi fare opera di «reshoring», ossia richiamare in patria le industrie che nei decenni passati hanno delocalizzato altrove. Per farlo servono investimenti e incentivi di Stato, e Bruxelles non si deve frapporre. «Non leggerei la politica estera come se fosse una relazione tra ragazzini che litigano e fanno pace. Sono gli interessi delle nazioni che vengono prima di tutto e mi pare che ci siano diversi punti di interesse comune tra Italia e Francia», spiega la premier.

Non è necessario starsi simpatici, insomma, per lavorare bene insieme: basta che ci sia la convenienza. Si capirà presto quanto vale l’intesa tra i due. La prossima settimana si riunirà a Bruxelles il Consiglio europeo, dal quale la presidente del consiglio aspetta «un passo avanti sulla dimensione esterna dei flussi migratori». Quando Macron dice che l’Europa deve «lavorare meglio con i Paesi di transito e di origine per evitare i flussi in arrivo» parla la stessa lingua della Meloni, della quale loda infatti l’impegno diplomatico avviato con la Tunisia, una polveriera che esploderà nelle prossime settimane se non avrà i prestiti europei e del Fmi. Tesi che la Meloni sosterrà al Consiglio Ue dinanzi agli altri leader, e che Macron avrà tutto l’interesse a supportare.

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