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Papa Francesco spiega il suo mondo da Orban: come leggere il discorso

Papa Francesco
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Pubblichiamo ampi stralci del discorso tenuto da Sua Santità Papa Francesco all'ex Monastero Carmelitano di Budapest davanti alla presidente della Repubblica ungherese Katalin Novak, al premier Viktor Orban, ai ministri e al corpo diplomatico.

Vi saluto cordialmente e ringrazio la Signora Presidente per l’accoglienza e per le sue gentili parole. La politica nasce dalla città, dalla polis, dalla passione concreta per il vivere insieme garantendo diritti e rispettando doveri. Poche città ci aiutano a riflettere su questo come Budapest, che non è solo una capitale signorile e vitale, ma un luogo centrale nella storia (...) Vorrei dunque condividere alcuni pensieri, prendendo spunto da Budapest in quanto città di storia, città di ponti e città di santi.

1. Città di storia.
Questa capitale ha origini antiche, come testimoniano i resti di epoca celtica e romana. (...) Vorrei tornare sulla fondazione di Budapest, che quest’anno si celebra solennemente. (...) La nascita di questa grande capitale nel cuore del continente richiama il cammino unitario intrapreso dall’Europa, nella quale l’Ungheria trova il proprio alveo vitale.

In questo frangente storico l’Europa è fondamentale. Perché essa, grazie alla sua storia, rappresenta la memoria dell’umanità ed è perciò chiamata a interpretare il ruolo che le corrisponde: quello di unire i distanti, di accogliere al suo interno i popoli e di non lasciare nessuno per sempre nemico. È dunque essenziale ritrovare l’anima europea: l’entusiasmo e il sogno dei padri fondatori, statisti che hanno saputo guardare oltre il proprio tempo, oltre i confini nazionali e i bisogni immediati, generando diplomazie capaci di ricucire l’unità, non di allargare gli strappi.
Penso a quando De Gasperi, a una tavola rotonda cui parteciparono anche Schuman e Adenauer, disse: «È per se stessa, non per opporla ad altri, che noi preconizziamo l’Europa unita... lavoriamo per l’unità, non per la divisione». (...)

2. Budapest è città di ponti.
Vista dall’alto, “la perla del Danubio” mostra la sua peculiarità proprio grazie ai ponti che ne uniscono le parti, armonizzandone la configurazione a quella del grande fiume. Quest’armonia con l’ambiente mi porta a complimentarmi per la cura ecologica che questo Paese persegue con impegno. Ma i ponti (...) suggeriscono pure di riflettere sull’importanza di un’unità che non significhi uniformità. A Budapest ciò emerge dalla notevole varietà delle circoscrizioni che la compongono, più di venti. Anche l’Europa dei 27, costruita per creare ponti tra le nazioni, necessita del contributo di tutti senza sminuire la singolarità di alcuno. (...) C’è bisogno di (...) armonia: di un insieme che non appiattisca le parti e diparti che si sentano ben integrate nell’insieme.

LA SFIDA
Penso dunque a un’Europa che non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali, ma che nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli. È questa la via nefasta delle “colonizzazioni ideologiche”, che eliminano le differenze, come nel caso della cosiddetta cultura gender, o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà, ad esempio vantando come conquista un insensato “diritto all’aborto”, che è sempre una tragica sconfitta. Che bello invece costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dovevi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia, perseguite con attenzione in questo Paese, dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno. Il ponte più celebre di Budapest, quello delle catene, ci aiuta a immaginare un’Europa simile, formata da tanti grandi anelli diversi, che trovano la propria saldezza nel formare insieme solidi legami. In ciò la fede cristiana è di aiuto e l’Ungheria può fare da “pontiere”, avvalendosi del suo specifico carattere ecumenico: qui diverse Confessioni convivono senza antagonismi, collaborando rispettosamente, con spirito costruttivo (...).


3. Ciò mi porta a considerare l’ultimo aspetto: Budapest città di santi (...). Il pensiero non può che andare a Santo Stefano, primo re d’Ungheria, vissuto in un’epoca nella quale i cristiani in Europa erano in piena comunione; la sua statua, all’interno del Castello di Buda, sovrasta e protegge la città, mentre la Basilica dedicatagli nel cuore della Capitale è, insieme con quella di Esztergom, l’edificio religioso più imponente del Paese. Dunque la storia ungherese nasce segnata dalla santità, e non solo di un re, bensì di un’intera famiglia: sua moglie, la Beata Gisella, e il figlio sant’Emerico. Questi ricevette dal padre alcune raccomandazioni, che costituiscono una sorta di testamento spirituale per il popolo magiaro. Vi leggiamo parole molto attuali: «Ti raccomando di essere gentile non solo verso la tua famiglia e parentela, o con i potenti e i benestanti, o con il tuo prossimo e con i tuoi abitanti, ma anche con gli stranieri». Santo Stefano motiva tutto ciò con genuino spirito cristiano, scrivendo: «È la pratica dell’amore che conduce alla felicità suprema». E chiosa dicendo: «Sii mite per non combattere mai la verità». In tal modo coniuga inseparabilmente verità e mitezza. È un grande insegnamento di fede: i valori cristiani non possono essere testimoniati attraverso rigidità e chiusure, perché la verità di Cristo comporta mitezza e gentilezza, nello spirito delle Beatitudini. Si radica qui quella bontà popolare ungherese (...) da [cui] traspare non solo la ricchezza di una solida identità, ma la necessità di apertura agli altri, come riconosce la Costituzione quando dichiara: «Rispettiamo la libertà e la cultura degli altri popoli, ci impegniamo a collaborare con tutte le nazioni del mondo». Essa afferma ancora: «Le minoranze nazionali che vivono con noi fanno parte della comunità politica ungherese e sono parti costitutive dello Stato», e si propone l’impegno «per la cura e la protezione [...] delle lingue e delle culture delle minoranze nazionali in Ungheria». È veramente evangelica questa prospettiva, che contrasta una certa tendenza, giustificata talvolta in nome delle proprie tradizioni e persino della fede, a ripiegarsi sudi sé.

 

LO SPIRITO

Il Testo costitutivo, in poche e decisive parole impregnate di spirito cristiano, asserisce inoltre: «Dichiariamo essere un obbligo l’assistenza ai bisognosi e ai poveri». Ciò richiama il prosieguo della storia di santità ungherese, raccontata dai numerosi luoghi di culto della Capitale: dal primo Re, che stabilì le fondamenta del vivere comune, si passa a una Principessa che eleva l’edificio verso una purezza ulteriore. È sant’Elisabetta, la cui testimonianza ha raggiunto ogni latitudine. Questa figlia della vostra terra morì a ventiquattro anni dopo aver rinunciato a ogni bene e aver distribuito tutto ai poveri. Si dedicò sino alla fine, nell’ospedale che aveva fatto costruire, alla cura dei malati: è una gemma splendente di Vangelo. Distinte Autorità, vorrei ringraziarvi per la promozione delle opere caritative ed educative ispirate da tali valori e nelle quali s’impegna la compagine cattolica locale, così come per il sostegno concreto a tanti cristiani provati nel mondo, specialmente in Siria e in Libano. È feconda una proficua collaborazione tra Stato e Chiesa che, per essere tale, necessita però di ben salvaguardare le opportune distinzioni. È importante che ogni cristiano lo ricordi, tenendo come punto di riferimento il Vangelo, per aderire alle scelte libere e liberanti di Gesù e non prestarsi a una sorta di collateralismo con le logiche del potere. Fa bene, da questo punto di vista, una sana laicità, che non scada nel laicismo diffuso, il quale si mostra allergico ad ogni aspetto sacro per poi immolarsi sugli altari del profitto. Chi si professa cristiano, accompagnato dai testimoni della fede, è chiamato principalmente a testimoniare e a camminare con tutti, coltivando un umanesimo ispirato dal Vangelo e instradato su due binari fondamentali: riconoscersi figli amati del Padre e amare ciascuno come fratello.

In tal senso Santo Stefano lasciava al figlio straordinarie parole di fraternità, dicendo che «adorna il paese» chi vi giunge con lingue e costumi diversi. Infatti – scriveva – «un paese che ha una sola lingua e un solo costume è debole e cadente. Per questo ti raccomando di accogliere benevolmente i forestieri e di tenerli in onore, così che preferiscano stare piuttosto da te che non altrove». È un tema, quello dell’accoglienza, che desta tanti dibattiti ai nostri giorni ed è sicuramente complesso. Tuttavia per chi è cristiano l’atteggiamento di fondo non può essere diverso da quello che santo Stefano ha trasmesso, dopo averlo appreso da Gesù, il quale si è identificato nello straniero da accogliere (cfr Mt 25,35). È pensando a Cristo presente in tanti fratelli e sorelle disperati che fuggono da conflitti, povertà e cambiamenti climatici, che occorre far fronte al problema senza scuse e indugi. È tema da affrontare insieme anche perché, nel contesto in cui viviamo, le conseguenze prima o poi si ripercuoteranno su tutti. Perciò è urgente, come Europa, lavorare a vie sicure e legali, a meccanismi condivisi di fronte a una sfida epocale che non si potrà arginare respingendo, ma va accolta per preparare un futuro che, se non sarà insieme, non sarà. Ciò chiama in prima linea chi segue Gesù e vuole imitare l’esempio dei testimoni del Vangelo. (...) E mentre vi ringrazio per aver ascoltato quanto avevo in animo di condividere, assicuro la mia vicinanza e la mia preghiera per tutti gli ungheresi, con un pensiero speciale per quelli che vivono al di fuori della Patria e per quanti ho incontrato nella vita e mi hanno fatto tanto bene. Isten, áldd meg a magyart! [Dio, benedici gli ungheresi!]papa fran

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