Doveva essere la sorpresona del 25 Aprile: l’incontro fra la premier e la Medaglia d’oro per la Resistenza, tutto lacrime, abbracci, e memoria condivisa. La pacificazione assoluta, la pietra tombale dello scontro ideologico, la fine dell’appannaggio a sinistra della Festa delle Liberazione. Immaginatevi che photo-opportunity. Poi, però, gli impegni rispettivi non si sono incastrati. Paola Del Din, cento anni il 22 agosto, la partigiana dal nome di battaglia «Renata», non si poteva spostare a Palazzo Chigi dalla sua casa di Udine. Vuoi perché ogni 25 aprile si autoimpone di celebrare tra le mura domestiche il lutto del fratello Renato anch’egli partigiano. Vuoi perché, nonostante il fisico da ex paracadutista – prima donna italiana, unica nei lanci di guerra- che la proiettava indomita sulle trincee alleate con documenti segretissimi; be’, insomma, in fondo l’età è quella che è. Ma neppure Giorgia Meloni è riuscita a divincolarsi dalla sua agenda istituzionale, per volare in Friuli Venezia Giulia.
Paola Del Din è una leggenda. Nata a Pieve di Cadore, unica medaglia d’oro al valor militare femminile e della seconda guerra mondiale, ex spia addestrata dalle forze britanniche, la combattente apparteneva alla Brigata Osoppo alla quale i partigiani comunisti uccisero il comandante Francesco De Gregori e altri sedici compagni nell’eccidio di Porzus. Liceo classico, laurea in lettere, una specializzazione in Pennsylvania, un ritorno come insegnante in Italia e testimonial perpetuo dello spirito della Resistenza: Del Pin vive la ricorrenza della Liberazione con sacro ardore. E per lei, dove non riesce ad arrivare Giorgia Meloni, ecco che si palesa Bruno Vespa. Il giornalista ieri sera riesce a intervistare Del Din nei suoi Cinque minuti nell’access prime di Raiuno. La sua prima domanda è sul perché Paola «vuole farsi chiamare patriota e non partigiana?». Ed ecco che lei, melonianamente, risponde: «Perché ho fatto tutto per tutta l’Italia non per una parte sola. Giusti o sbagliati tutti hanno bisogno d’aiuto e chi può fare deve fare anche per quelli che non possono». E aggiunge: «L’Italia era ridotta com’era ridotta e non si poteva mica lasciarla allo sbando. Non si può lasciare perdere: anche i morti hanno il diritto di essere rispettati».
La Paola s’immerge nel ricordo del fratello partigiano perduto, della polenta della madre, dell’attesa dei giorni migliori dopo avere consumato i peggiori in battaglia. «Ero una ragazza sana, energica, ero sportiva. La mia cultura classica mi portava a considerare l’ideale in cima a tutto. Noi guardavamo alla storia vera, non quella trattata politicamente», dice lei a Vespa. E alla domanda, urticante, per la sinistra, «Cosa divideva voi della Osoppo dai partigiani comunisti?», risponde: «L’idea stessa di patria. Se la casa è mia tu stai a casa tua e non pestare i miei piedi. Questo è un principio. S’era detto: parleremo dei confini alla fine della guerra, e invece loro volevano prenderne possesso immediatamente, avevano tentato d’insediarsi anche a Udine, sa? Il povero De Gregori è stato ammazzato perché non ha voluto sottomettersi a Tito, come han fatto quelli purtroppo della Garibaldi. E non tutti con buona volontà. Ne ho conosciuti alcuni: se non passavano l’Isonzo sarebbero stati fucilati. Potevamo accettare una cosa del genere?». No, che non potevano.
La Del Din resta uno straordinario giunco d’acciaio. Non a caso la Meloni l’ha inserita nel suo nuovo Pantheon delle «donne conservatrici». Non a caso Paola dice a Vespa di aver conosciuto la premier venuta «a salutarmi al gruppo Medaglie d’oro quando abbiamo festeggiato il centenario«. Ma tralascia di dire che le due donne si sono staccate dal gruppo delle altre cinque Medaglie d’oro viventi; e hanno dialogato – dicono - appartate fittamente per un’ora. Meloni, per la Del Din, è «una giovane donna, male auguro fortuna. Spero che possa fare bene. Abbiamo visto tutti coloro che ci han governato, non sempre in modo soddisfacente, anzi. Rispondano loro a quello che hanno promesso di fare, agli impegni che prendono. Rispondano a ciò che promettono, sia assumano delle responsabilità e le mantengano, sennò ciao democrazia«. La voce dell’eroina centenaria è quasi rotta dalla fatica. Le sue ultime parole sono un monito per quella parte sinistra che tende ad intestarsi questo giorno (spesso come strumento di lotta politica): «Onestà, lealtà: l’Italia dev’essere per tutti non soltanto per una sola parte», disse Paola. Patriota, non partigiana...