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25 aprile, nessuna ideologia? Ditelo al Pd

Corrado Ocone
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Gronda buon senso il commento di Elena Loewenthal pubblicato ieri da La Stampa. È vero: «La memoria non è mai militanza», come titola il quotidiano torinese. Peccato però che la sinistra se ne ricordi solo quando ad essere colpevole di un misfatto storico sia qualcuno della propria parte politica. E per di più vedendo un uso strumentale della memoria là dove proprio non c’è stato, cioè nella lettera scritta da Giorgia Meloni ai familiari di Stefano e Virgilio per commemorare la loro tragica fine per mano dei comunisti di Potere Operaio, giusto mezzo secolo fa, a Primavalle. Il presidente del consiglio ha parlato di una «pagina buia» della nostra storia e dei «cattivi maestri» che hanno giustificato certe violenze, non ha certo trasformato la memoria «in uno strumento per inasprire i contrasti» come la Loewenthal sembra imputargli. Che è poi quanto invece la sinistra fa usualmente, soprattutto in periodo elettorale, chiedendo alla destra professioni di antifascismo che, a più di settanta anni dalla fine della guerra e in un contesto politico democratico quale l’odierno, hanno l’unico scopo di provare a delegittimare moralmente un avversario che non si sa combattere politicamente e lealmente.

 


DIVISIVO
Con la nuova segreteria del Partito Democratico questa tendenza sembra essersi ancor più accentuata, tanto che non è difficile prevedere che raggiungerà il diapason in coincidenza del prossimo 25 aprile. Una festività che, per essere veramente di tutti gli italiani, dovrebbe avere un approccio più laico e veritiero, storiograficamente più “oggettivo”, da parte di tutti. Bisogna cioè chiedersi, a partire dalla più accreditata storiografia, cosa siano state effettivamente la Resistenza e la successiva Liberazione. Solo in questo modo esse potranno servire ancora oggi da monito contro il sempre possibile emergere della barbarie illiberale, seppur nella consapevolezza che essa necessariamente avrebbe ora altre forme rispetto a quella storicamente assunta nel fascismo.

 

 


Continuare invece a vedere un fascismo che non c’è più, un Ur-fascism o “fascismo eterno” come teorizzava Umberto Eco, ha invece il duplice effetto, da una parte, di fomentare una divisiva guerra civile culturale fra gli italiani, e, dall’altra, Benedetto Croce, che se ne intendeva, e che del fascismo storico fu strenuo avversario, scrisse che la storia non è mai giustiziera ma sempre giustificatrice. Intendeva dire che chi fa storia non deve porsi di fronte ad essa come il giudice in un tribunale, non deve trovare un colpevole, ma di descrivere semplicemente il corso degli eventi. Anche se la metodologia storiografica è per sua natura attenta alle sfumature e si svolge in chiaroscuro, Croce voleva dirci non certo che dobbiamo annacquare tutte le differenze in un indistinto amalgama. Voleva piuttosto ammonirci a non perdere mai la capacità di distinguere e di giudicare con onestà intellettuale i fatti attestatici dai documenti e dalle testimonianze (ad esempio per quel che concerne la Resistenza dovremmo avere il coraggio di ammettere che se tutti i partigiani combattevano il fascismo non tutti lo facevano in nome della libertà).


PARTIGIANERIE
Chi invece piega queste ultime a beneficio della propria parte politica non solo fa “pseudostoria”, come la chiamava Croce, ma, incapace di dare un giudizio articolato sugli eventi del passato, agisce di conseguenza nel presente con lo stesso spirito partigiano che imputa a quelli che ha collocato fra i “cattivi” della storia. In questo senso, si può ben dire, con Cicerone, che la storia sia “maestra di vita”: la memoria, onestamente coltivata, altrettanto onestamente ci fa agire nel presente. Chi non rispetta la memoria finisce per non rispettare nemmeno coloro con cui si trova a vivere, e che spesso hanno il solo torto di avere idee diverse dalle sue. Il termine “pacificazione”, che a Loewenthal non piace, non ha altro significato che questo. 

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