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Calenda contro Renzi, "cosa li unisce". Senaldi, la verità su Stanlio e Ollio

Pietro Senaldi
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“Era già tutto previsto”, cantava Riccardo Cocciante negli anni Settanta. Storia di balli, tradimenti, giochi proibiti e amori interessati. Ed era davvero già tutto previsto anche tra Calenda e Renzi, fin dal giorno in cui nel balletto pre-elettorale della sinistra, che più che a un valzer somigliava al gioco della sedia, i due si avvinghiarono e sotto il Solleone si diedero il primo bacio, che già era di Giuda. Al di là dei fotogrammi dell’ultima farsa di giornata, l’incontro chiarificatore del tardo pomeriggio di ieri, la sorte di questa coppia della politica, più improbabile di Stanlio e Ollio, è segnata. Forse non sarà domani, probabilmente dopo, ma i due sono destinati ad andare ciascuno per la propria strada. Il consiglio è di farlo il prima possibile, perché la figuraccia ormai è sancita e con essa la credibilità politica dell’esperimento si è consumata irrimediabilmente; quindi meglio non prolungare lo spettacolo squalificante.

 

 

 

PECORE SMARRITE

In fin dei conti, l’alleanza ha pure funzionato; più che un accordo politico era un’intesa elettorale per andare in Parlamento con un manipolo di fedelissimi. Fesso chi ha creduto nel progetto e li ha votati. Renzi i fedelissimi ce li aveva, e ha dovuto scremare. Calenda no, e si è dovuto caricare gli scarti di Berlusconi. Ora che siamo alla resa dei conti, il primo ha un piccolo esercito di tarta-ninja su cui contare, il secondo un mini gregge di pecore smarrite. C’è un’altra differenza. L’ex premier ha chiara la tattica: attendere gli sviluppi continuando a saltabeccare da una convenienza all’altra, tanto di fama peggiore non può godere. L’ex ragazzo di Montezemolo ha chiara la strategia: continuare a testa bassa comportandosi come ago della bilancia, convinto che alla fine pagherà, anche se nessuno se lo fila, né in Parlamento né fuori. Entrambi i piani sono perdenti. Renzi è un fuoriclasse, tutti dicono, ma gli italiani, non tantissimi, che l’hanno votato non lo hanno fatto per vederlo palleggiare in Senato come Messi senza concludere nulla, o peggio dedicarsi alle maratone o alla direzione di un giornale (Il Riformista), con cinque annidi buono stipendio a loro spese garantito a Palazzo Madama. Il leader di Italia Viva si comporta come uno che non sa come ammazzare il tempo in attesa di intercettare un vento favorevole, che sia domani o fra quattro anni. Buon per lui, ma non sarà un bel biglietto da visita da presentare agli italiani, quando tornerà a chiederne la fiducia.

Il capo e fondatore di Azione è un generale senza esercito. Ha lavorato a lungo con abbondanza di riflettori puntati sudi lui, dispensando soluzioni per ogni problema italico, salvo rendersi conto il giorno prima delle elezioni di non avere una classe dirigente e di dover imbarcare Renzi per garantirsi un seggio. Ora, continua indomito nel tentativo di convincere la sinistra a venirgli incontro e possibilmente sottomettersi. Lo fa agitando il vessillo del ricordo di Draghi e del riformismo moderato, quasi non vedesse che gli elettori della sinistra hanno scelto un Pd versione katanga, buono per accasarsi con M5S e i Verdi. Su poche cose gli analisti della politica vanno d’accordo come sulle ragioni del fallimento annunciato delle nozze tra Azione e Italia Viva, con obiettivo condiviso, ma che non sarà mai raggiunto, di fondersi in un partito unico. Essi sono essenzialmente due. Il primo è la mancanza di domanda per il prodotto in offerta, che è poi un centro indipendente dai due schieramenti, destra e sinistra, che sia una sorta di polo del buon governo con i voti altrui e quindi inevitabilmente candidato a ruota di scorta.

 

 

 

SFIDUCIA RECIPROCA

Il secondo è l’ego ipertrofico dei due leader, che non sono strutturalmente fatti per considerare pari grado con cui concordare piani e azioni. Ma più di tutto conta la terza ragione, la sfiducia reciproca che l’uno nutre verso l’altro. Calenda è convinto di essersi caricato in spalla uno scorpione, come la rana di Esopo, sospetta di ogni mossa di Renzi e accelera le pratiche del divorzio, per non essere mollato per primo. L’ex premier ritiene il socio una sorta di trombone con l’ingenuità politica di un ragazzo, e non fa nulla per nasconderlo. Insieme, gli Stanlio e Ollio del Terzo Polo valgono un quarto della Meloni, un terzo di Elly Schlein, la metà di Conte e molto meno della Lega ma questo non fa sorgere in nessuno dei due il dubbio di sovrastimarsi. Conviene prenderli sul ridere, in attesa della comica finale.

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