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25 aprile, l'ultima manipolazione: "Repubblica" fa stalking a Fratelli d'Italia

Giovanni Sallusti
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L’ultima versione del giornalismo d’inchiesta secondo Repubblica consiste nello stalking al fascista (immaginario). Si saldano qui due filoni portanti della paranoia progressista: la fissazione monomaniacale di scovare ovunque tifosi di un regime franato 78 anni fa (compreso nel partito che è stato più votato dagli italiani e che esprime il presidente dei Conservatori europei); l’incontenibile attitudine pruriginosa a farsi gli affari degli altri (quella che anni fa si traduceva nel voyeurismo spinto sulle serate tra adulti consenzienti in quel di Arcore). Così oggi il mantra del giornale-partito diventa: “Che fai il 25 aprile?”. Una domanda martellante, reiterata all’infinito come solo i cronisti di razza (calma, colleghi, è espressione metaforica) sanno fare, girata a qualunque esponente in vita di Fratelli d’Italia, da Giorgia Meloni all’ultimo consigliere comunale del più sperduto borgo appenninico. Cosa fai il 25 aprile? Come, non sai ancora? Non hai segnato in agenda con l’evidenziatore indelebile (preferibilmente rosso) la partecipazione alla seduta per eccellenza dell’autocoscienza (sporca) nazionale, non hai preparato il vestito buono per officiare la Grande Ipocrisia, l’omaggio ai Liberatori ipotetici in mancanza dei Liberatori autentici, leggasi angloamericani? Fascista!  Non è un’iperbole, ieri il quotidiano di riferimento di quella sinistra che ha sempre cacciato a urlacci e spintoni i leader di centrodestra ogni volta che hanno provato a partecipare al rito di piazza, mostrando un bizzarro modo d’intendere la democrazia ritrovata (famosissimo il caso di Letizia Moratti, accompagnata dal padre medaglia d’oro della Resistenza e internato a Dachau, trattato come i suoi internatori), ha sfornato la seguente inchiesta a tutta pagina: “Le scuse pronte di FdI per il 25 aprile”.

 


Roba che il Watergate a confronto trascolora a scandaletto di condominio. E allora apprendiamo che Domenico Gramazio, ex membro di An che non ricopre alcun ruolo in Fratelli d’Italia, ma in compenso è stato missino e “si aggira tra le colonne del tempio di Adriano con in mano un libro che narra la storia di Giorgia Meloni”, definisce al segugio di Rep tutta questa commedia sul 25 aprile “una rottura di scatole”, e il segugio lo colloca più o meno tra Farinacci e Himmler. Quel bifolco del ministro Lollobrigida in quei giorni sarà “tra il Giappone e Barcellona”, magari addirittura a diffondere le ottime ragioni del Made in Italy e della filiera agroalimentare nostrana, invece che sfilare in mezzo all’icona del Che e alle kefieh palestinesi (che con la Liberazione c’entrano come i cavoli a merenda, anzi a essere pignoli allora il Gran Muftì di Gerusalemme stava con Hitler). Altri come il ministro Urso ancora peggio, “non hanno ancora deciso”, non hanno neanche la decenza di presentarsi all’inviato di Repubblica con una giustificazione vidimata da ambo i genitori. Quanto alla presidente Meloni, al momento si sa solo che si recherà all’Altare della Patria col presidente Mattarella, chiaramente un evento minore e non sufficiente a sanare l’evidente connessione di una leader nata nel 1977 con una dittatura caduta nel 1945. In ogni caso, il vicecapogruppo alla Camera, Manlio Messina, “assicura che non ci sono indicazioni di partito in merito”. Ma solo perché non ha ancora incrociato l’articolista di Repubblica, che lo sta aspettando sotto casa. 

 

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