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Padova, cacciato da scuola perché nipote di Cadorna

Andrea Cionci
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Tornano alla grande tre estenuanti cliché nazionali: la rissa perpetua sull’antifascismo, la vulgata mistificatoria sul generale Cadorna e il solito “cuor di leone” dei dirigenti scolastici. Frullate tutto insieme e avrete l’episodio che ha appena visto protagonista il prestigioso liceo classico “Tito Livio” di Padova con un’unica vittima illustre: la cultura. Stando al sito, il liceo “mira a dare agli studenti una preparazione articolata e approfondita sul piano culturale”, così avevano invitato il colonnello Carlo Cadorna, nipote del nostro Comandante Supremo durante la Grande Guerra, a partecipare a un incontro autogestito dagli studenti per discutere di storia. Era un’occasione d’oro: superare la premiata sbobba emozional-antimilitarista del duo Lussu-Rosi e del seguito di compiacenti storici di partito, stimolando i ragazzi a ragionare sui documenti dell’epoca che il colonnello Carlo – figlio del generale Raffaele Cadorna, comandante del Corpo Volontari della Libertà durante la Seconda Guerra mondiale- ha scrupolosamente riportato nella fortunata edizione del suo libro Caporetto? Risponde Cadorna, (Bastogi, 2020)”, già presentato al Senato.

Eppure, al primo baccagliare di qualche manifestazione tra gli “Antifa” e Blocco studentesco, il Consiglio dei Docenti ha cordialmente messo alla porta il colonnello “per evitare qualsiasi tipo di polemica”. Un’occasione persa per affermare il primato dello studio sul teppismo-bullismo. A Padova, infatti, giorni fa, gli studenti avevano voluto imporre al “Tito Livio” l’adesione alla nota lettera-predicozzo antifascista della preside della scuola Leonardo da Vinci di Firenze; i ragazzi di destra si erano ribellati appendendo uno striscione con scritto “la scuola è libera”, ma avevano torto. La scuola non è libera: è – da sempre - ostaggio dei soliti noti che, per uno sbilenco sillogismo, siccome la Repubblica vieta la ricostituzione fisica del partito fascista, allora tutti devono ideologicamente proclamarsi antifascisti. In realtà la Costituzione, all’articolo 21, sancisce la libertà di pensiero e di espressione.

«Ma qui si sarebbe parlato di Grande guerra – sbotta il colonnello Cadorna – avevo concordato con la scuola di fare una chiacchierata sulla strategia, questa grande sconosciuta, in Italia. Cadorna è dovuto entrare in guerra per decisione politica con un esercito inesistente e un fronte troppo lungo da difendere. I nostri Alleati ci assegnarono il compito di tenere impegnati - e logorare - gli austriaci da Sud. Cadorna aveva previsto ogni possibilità, compresa Caporetto, preparando la ritirata strategica sulla linea del Grappa. Grazie a questa abbiamo vinto perché eravamo finalmente in situazione di predominio logistico, di fuoco e di riserve, con un fronte ridotto di un terzo. Ciò consentì a Diaz – che sostituì Cadorna- di migliorare le condizioni di vita dei soldati, anche perché il Governo, spaventatosi, finalmente aprì i cordoni della borsa. Gli austroungarici, penetrati troppo in profondità in territorio italiano, si arenarono sulla linea del Grappa, fino alla resa finale con Vittorio Veneto, il 4 novembre ‘18. La Germania del Kaiser si arrese una settimana dopo, temendo un’invasione italiana dalla Baviera. Così, la Grande guerra l’ha vinta la strategia di Cadorna (per tutta l’Intesa, facendola terminare un anno prima rispetto alle previsioni degli Alleati). Oggi viene ancora studiata nelle Scuole di Guerra americane». Parole interessanti, che riguardano la nostra storia, eppure oscurate dagli inutili berci su fascismo-antifascismo.

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